È semplicemente irrealistico affermare che la riforma della remunerazione sia un non-problema e che invece ci si debba concentrare su una soluzione che preveda un contributo delle aziende farmaceutiche e della filiera distributiva, sul modello del pay-back, per ridurre il costo dei farmaci erogati a carico del Ssn, mantenendo invariato il prezzo al pubblico e riducendo il ricorso alla distribuzione diretta: è questa la posizione comune delle farmacie italiane alle opinioni emerse qualche giorno fa su FPress, la newsletter della Fondazione Guido Muralti.
Dire che la remunerazione del farmacista debba unicamente essere legata al prezzo del farmaco significa negare il percorso politico e culturale che il nostro settore ha fatto negli ultimi anni. Un percorso totalmente incentrato sull’emancipazione del farmacista dal ruolo di “negoziante con la laurea” (epiteto con il quale vengono spesso apostrofati i farmacisti dai molti nemici della categoria) e verso uno status di piena integrazione nel SSN attraverso la definizione di ruoli e compiti suoi specifici.
Le farmacie italiane da tempo portano avanti una battaglia comune per la riduzione al minimo indispensabile della distribuzione diretta. Di tale modello distributivo non si contesta l’obiettivo, civicamente legittimo, dello Stato a ridurre la spesa farmaceutica, quanto piuttosto il fatto che esso presenti costi occulti che gravano sul cittadino e sul sistema nel suo complesso. Oggi sarebbe del tutto irresponsabile e sostanzialmente inutile chiedere allo Stato una qualunque azione di riforma basata su un aumento della spesa che non sia correlato al fisiologico incremento del Fondo sanitario nazionale.
La proposta di nuova remunerazione portata avanti dalle farmacie italiane non intende intralciare lo sviluppo ormai consolidato della dpc che coniuga il risparmio per il sistema con i vantaggi derivanti dal potenziale di prossimità del presidio territoriale. Posizione, questa, ben diversa da quanto espresso su FPress.
«Vorrei rasserenare gli animi del resto della filiera. Nessuno ha mai pensato di ritoccare i margini dell’industria. Ci siamo sempre concentrati su altri elementi che concorrono al costo finale. La nuova remunerazione dovrà reggersi anche con l’apporto economico scaturito dalla presa in carico del paziente capace di offrire migliore assistenza riducendo così altri costi sanitari, e per questa ragione meritevole di essere remunerato. Una proposta che quindi non mette in discussione l’attuale sistema dei prezzi dei farmaci», afferma il presidente di Assofarm Venanzio Gizzi.
Se è quindi questo il punto di vista delle farmacie italiane, la questione dei farmaci, acquistati in toto dal Ssn e distribuite dalle farmacie territoriali, è del tutto benvenuto se mantiene e valorizza il ruolo professionale del farmacista, in termini di dispensazione dei farmaci, monitoraggio del paziente e verifica dell’aderenza alla terapia.
«Se inserito in un nuovo sistema retributivo, si tratterebbe di un modus operandi che concretizzerebbe la nostra visione di farmacia – continua Gizzi – perché la considera come l’avamposto sul territorio del Ssn. Sarebbe la soluzione più efficace per valorizzare una degli elementi più forti del nostro sistema, quella pianta organica che assicura a tutti i cittadini italiani il diritto all’accesso al farmaco». Del resto la legge 405 c’è dal 2001, ossia da 18 anni. Solo negli ultimi 10 anni la dcr ha perso il 40% del proprio valore per via del calo di fatturato dovuto in gran parte alle genericazioni. Bisogna, quindi, per mantenere in vita la farmacia italiana fare presto e bene. Procedere si con cautela ma avendo chiaro l’approdo finale.
La farmacia italiana, e in generale tutta la filiera del farmaco, oggi non può permettersi di indebolire il fronte comune faticosamente costruito a favore della nuova Remunerazione. La tentazione da evitare è quella di sperare che esistano alternative possibili a politiche di efficientamento sanitario del rapporto tra farmacista e paziente.