di Giampiero Toselli, segretario di Federfarma Milano
Le perplessità espresse di recente a FPress da Sergio Stefanelli, vicepresidente di Farmindustria, e da Enrique Hausermann, presidente di Assogenerici, sull’eventualità che le farmacie passino a un sistema di remunerazione misto rappresentano per i farmacisti titolari un invito a chiedersi quali siano, sul tema, i veri nodi da sciogliere. La mia idea è che abbia parecchie ragioni Stefanelli quando asserisce che all’origine delle attuali incertezze economiche della farmacia non c’è il modello con cui il Ssn retribuisce le farmacie (ossia il sistema del ricarico, lo stesso che viene oggi utilizzato in tutte le attività del retail, cui anche la farmacia appartiene dal momento che acquista e vende nel campo della salute) ma piuttosto il fatto incontrovertibile che una quota consistente di farmaci non transita più dalle farmacie del territorio.
Le cause le conosciamo fin troppo bene: nel tempo si è susseguito un insieme di norme che, differenziato il regime di acquisto tra farmacie e ospedali, ha consentito a questi ultimi di dispensare il farmaco anche sul territorio avviando la DD tramite sportelli pubblici. In origine a tale regime erano assoggettati soltanto i farmaci di una lista chiamata Pht, redatta dall’Aifa in base a considerazioni esclusivamente cliniche. «Il Pht» scrive sul proprio sito il ministero della Salute «non scaturisce prioritariamente dalla necessità di un contenimento della spesa, ma dall’esigenza di adeguare le strategie assistenziali ai processi di trasformazione in Sanità, senza destrutturare l’attuale sistema distributivo intermedio e finale». E ancora: «Il Pht rappresenta la lista dei medicinali per i quali sussistono le condizioni di impiego clinico e di setting assistenziale compatibili con la distribuzione diretta, ma la cui adozione, per entità e modalità dei farmaci elencati, dipende dall’assetto normativo, dalle scelte organizzative e dalle strategie assistenziali definite e assunte da ciascuna Regione».
Sappiamo tutti che oggi in molte Regioni viene fatto un uso della dd che oltre a non rispecchiare i principi per il quale nacque il Pht si estende a molte molecole della convenzionata selezionate soltanto in base a considerazioni di tipo economico, e ciò per assicurarsi i risparmi consentiti dallo sconto ospedaliero.
È quindi il prezzo di cessione del farmaco, da parte dell’industria farmaceutica al Ssn, il vero punto da affrontare.
Rispetto a tale tema, la posizione del servizio sanitario pubblico è quella di chi vuole acquistare spendendo il meno possibile. Ne consegue che non è tanto l’attuale metodo di ricarico applicato sul prezzo ex-factory dalla filiera distributiva in discussione, lo è invece il prezzo al quale il Ssn acquista i farmaci. Non ha senso, quindi, mettersi a pensare a nuovi modelli di remunerazione quando il primo nodo da sciogliere non riguarda la retribuzione delle farmacie ma il prezzo di acquisto del farmaco da parte del Ssn. E la soluzione del problema non può essere trovata senza il contributo dell’industria.
E la conferma l’abbiamo osservando alcune ipotesi di riforma della remunerazione fin qui circolate che finiscono per legittimare una ampia distribuzione del farmaco in regime dpc, evoluzione di comodo, per la parte pubblica, della dd.
Occorre guardare con molta attenzione a quanto accade in Svizzera e Francia, dove le farmacie sono remunerate con modelli misti in cui coesistono onorario fisso e margine: se tali sistemi consentono ai titolari di sganciare la redditività dalla curva dei prezzi, non li mettono al sicuro da interventi di contenimento della spesa né dall’erosione del valore delle ricette.
Si deve allora avere il coraggio e la lungimiranza di pensare a una vera riforma.
Non ha alcun senso che un regime di prezzi ex factory differenziati tra ospedale e farmacia, consenta all’ospedale di fare il lavoro della farmacia del territorio. Ed avrebbe ancora meno senso che le strutture pubbliche diventassero l’acquirente unico del farmaco rimborsato dal Ssn e la farmacia uno sportello di ritiro dei “pacchetti”.
La strada più ragionevole da esplorare diventa allora quella di una riforma che preveda un unico prezzo di cessione al Ssn, un prezzo di vendita al pubblico allineato con gli altri Paesi europei e una compartecipazione di industria e filiera distributiva con i modi del ristorno/payback, per garantire al Ssn gli indispensabili risparmi. Si tratterebbe di una riforma che, per di più, risolverebbe il fenomeno del parallel trade e delle conseguenti indisponibilità sul territorio. È fattibile? Lo si può scoprire soltanto se tutte le componenti della filiera si siedono attorno a un tavolo e studiano una proposta organica da presentare al Governo. Una proposta che non deve tappare falle ma prefigurare un nuovo sistema capace di garantire il futuro del servizio farmaceutico e del Ssn.