Può aprire la farmacia pubblica che il Comune di Ascoli Piceno aveva istituito nel gennaio dell’anno scorso all’interno del centro commerciale Oasi, nel quadro di un piano di riorganizzazione degli esercizi municipali che prevedeva contestualmente la chiusura di due delle quattro sedi già esistenti. E’ quanto stabilisce la sentenza datata 3 aprile con la quale il Tar delle Marche ha accolto il ricorso del Comune contro il provvedimento della Regione che revocava l’autorizzazione concessa cinque anni fa all’amministrazione cittadina.
All’origine una vicenda a dir poco ingarbugliata: il Municipio aveva chiesto e ottenuto dalla Regione il via libera all’apertura di una nuova sede comunale nel 2013, ma se l’era tenuta in un cassetto fino all’inizio del 2017. Nel gennaio, infatti, l’amministrazione vara con delibera un piano di riorganizzazione che prevede l’apertura della nuova farmacia (nel centro commerciale Oasi, periferia est di Ascoli) e la chiusura di due delle quattro già in attività.
Per le farmacie private della città è un campanello d’allarme. Il sospetto infatti è che in realtà gli obiettivi della riorganizzazione siano soltanto economici: guarda caso, le due farmacie che il comune intende dismettere sono quelle che fanno registrare di anno in anno utili sempre più risicati (quasi 49mila euro di reddito operativo nel 2015 per la sede numero 1 e circa 106mila per la numero 4, mentre le altre due hanno portato nelle casse comunali 259mila e 178mila euro rispettivamente); la farmacia da aprire nel centro commerciale, invece, dovrebbe garantire nelle stime del Municipio un reddito operativo superiore ai 280mila euro, più delle due da vendere messe assieme.
Nella primavera 2017, così, alcuni farmacisti titolari impugnano la delibera con la tesi che l’autorizzazione regionale è scaduta e dunque l’istituzione della quinta sede è illegittima. Il Tar delle Marche dà ragione ai ricorrenti senza però confermarne le argimentazioni: sia la Regione, dicono i giudici, a verificare che effettivamente l’autorizzazione è scaduta. Detto fatto, gli uffici regionali decretano la decadenza del procedimento e allora, a settembre, è il Comune a portare la Regione davanti al Tar. Che prima concede la sospensiva e poi, nei giorni scorsi, dà ragione al Municipio anche nel giudizio di merito: il decreto dell’Ars, sostiene il Tribunale, non è supportato da un’adeguata istruttoria e motivazione.