Nel corso del summit di Vienna del 10 settembre scorso tra i ministri della Salute Ue, la delegazione spagnola avrebbe chiesto all’Unione europea di emendare le norme che riconoscono ai preparati omeopatici la qualifica di medicinali. Secondo i rappresentanti iberici, tale definizione sarebbe in contrasto con la direttiva 2011/83/Ue, che riconosce lo status di farmaco a «ogni sostanza, o associazione di sostanze, presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane».
Secondo un articolo del giornale spagnolo «El Pais», il governo di Madrid avrebbe deciso di muoversi sull’onda di alcuni casi di malati deceduti dopo aver preferito l’omeopatia alle cure tradizionali. E in aggiunta, il quotidiano cita anche la vicenda del bambino italiano di 7 anni morto qualche mese fa per le complicazioni di un’otite trattata con preparati omeopatici. In un’intervista allo stesso giornale, poi, il nuovo ministro della Sanità, Maria Luisa Carcedo, esprime forti preoccupazioni per i rischi cui andrebbe incontro chi si affida a «una terapia che ancora non è stata dimostrata scientificamente».
L’iniziativa spagnola sembra chiudere l’omeopatia in un assedio di dimensioni europee. In Inghilterra il Servizio sanitario aveva deciso a dicembre di sospendere la rimborsabilità dei trattamenti omeopatici (una misura poi confermata dalla giustizia britannica, cui si erano appellate le aziende di settore); in Francia il disegno di legge per il finanziamento di sicurezza sociale e sanità pubblica, varato nei giorni scorsi, predispone una serie di verifiche sui preparati omeopatici al fine di valutarne l’eventuale esclusione dalla rimborsabilità. Se ne occuperà l’Has (Haute autorité de Santé), che già a giugno aveva espresso perplessità per il fatto che il servizio sanitario francese riconosce ai prodotti omeopatici lo stesso livello di rimborso (30% del prezzo) concesso a farmaci «di comprovata efficacia».