Le ipotesi di incompatibilità previste dagli articoli 7 e 8 della legge 362/91 si applicano «a tutti i soci, farmacisti e non farmacisti, persone fisiche o società: quindi, non può partecipare a una società titolare di farmacia un’altra società titolare anch’essa di farmacia», ma neppure – per la medesima ragione – un farmacista «individualmente titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia». E’ quanto scrive l’Ufficio legislativo del ministero della Salute nel parere inviato il 7 marzo scorso per rispondere al doppio quesito che nelle settimane precedenti gli aveva rivolto un’Asl piemontese. Un chiarimento che sta già scatenando accese discussioni, perché nei suoi ragionamenti il dicastero non soltanto riprende i contenuti del parere che a dicembre aveva pubblicato sullo stesso tema il Consiglio di Stato, ma addirittura allarga il perimetro delle incompatibilità fino a invadere le certezze sedimentate della giurisprudenza.
Ma andiamo con ordine. Il doppio quesito posto dall’Asl piemontese riguarda due distinti casi: il primo è quello di una società srl costituita da due farmacisti, alla quale tra breve dovrebbe essere riconosciuta la titolarità di una farmacia; la società vorrebbe assegnare la direzione a uno dei soci, che però è già socio accomandante all’1% in un’altra società, titolare di una farmacia ubicata in altra regione; il secondo caso, invece, riguarda due farmaciste che risultano già socie di due distinte società, cui fanno capo due diverse farmacie.
La replica dell’Ufficio legislativo del Ministero esordisce con le cautele di rito: il dicastero, si legge, non potrebbe «rendere pareri su aspetti di mero dettaglio che riguardano il procedimento amministrativo di altre amministrazioni» ma soltanto esprimere valutazioni «sulla (possibile) interpretazione delle norme». Detto questo, il parere ministeriale ricorda e fa proprie le conclusioni cui era arrivato a dicembre il Consiglio di Stato: il farmacista che è titolare o lavora in una farmacia, come direttore oppure collaboratore, non può partecipare a una società che a sua volta è titolare di altre farmacie, anche solo in veste di mero socio di capitale e senza altri ruoli. «Il Ministero però» obietta Ettore Jorio, docente di diritto amministrativo all’università della Calabria «estende l’incompatibilità a casistiche che dai tempi della Legge Bersani del 2006 sono ampiamente legittime. E’ evidente insomma che ci troviamo di fronte a un approccio superficiale alla problematica e alle norme cui fa riferimento», ossia i già citati articoli 7 e 8 della 362/91.
Ne consegue che se il parere della Salute diventasse riferimento per l’Asl piemontese così come per tutte le altre aziende sanitarie del Paese, molte società di farmacisti si ritroverebbero all’improvviso costrette a rivedere i propri assetti societari. Oppure dovrebbero ricorrere al Tar, dove a detta degli esperti avrebbero vittoria facile.