Sì alla gratuità ma soltanto dai 26 anni e in consultori e strutture pubbliche, non in farmacia. Sono le condizioni alle quali il Consiglio di amministrazione dell’Aifa ha espresso martedì scorso il proprio via libera alla rimborsabilità della pillola contraccettiva: al completamento dell’iter manca soltanto la delibera finale dell’Agenzia, che arriverà dopo le valutazioni di rito della Commissione tecnico-scientifica dell’Agenzia, intanto però i paletti piantati dal cda alla gratuità della pillola fanno discutere. Il tema è economico e non è un mistero: ad aprile la Cts e Cpr (Comitato prezzi e rimborsi) avevano dato parere positivo alla gratuità della contraccezione, ma poco dopo la procedura venne sospesa per dubbi riguardo alla sostenibilità della spesa che avrebbe generato (140 milioni di euro il costo stimato in caso di piena rimborsabilità).
«L’attuale proposta del Cda Aifa comporta una spesa di quattro milioni» dichiarano all’Ansa le senatrici Cecilia D’Elia, portavoce del Coordinamento nazionale delle donne Pd e Beatrice Lorenzin, vicepresidente del gruppo dem «è chiaro che c’è stato un intervento del governo».
Dal 2017, ricordano le due parlamentari, alcune Regioni hanno deciso di assicurare la rimborsabilità della pillola, prima Emilia Romagna e Puglia e poi Piemonte, Toscana, Lombardia, Marche e Lazio. Il provvedimento in arrivo dall’Aifa con il tetto alla gratuità a 26 anni, dicono, tradisce la volontà di «vanificare i percorsi regionali già attivi, che solo con l’aiuto dello Stato potrebbero essere ampliati a tutte le donne». «È un boicottaggio per le donne del Sud ma e anche per le giovanissime» concludono Lorenzin e D’Elia «senza contare che le madri e le donne più grandi e più fragili vengono escluse dall’accesso alla maternità consapevole».