In 18 mesi, dall’inizio dell’anno scorso ad agosto 2019, la Food and drug administration ha inviato alle aziende farmaceutiche di tutto il mondo 75 richiami per violazione degli standard di sicurezza e qualità. E quasi la metà di tali lettere, che minacciano ispezioni da parte dell’autorità americana, riguardano aziende localizzate in India (19 richiami) o in Cina (18). E’ quanto rivela un articolo del Pharmaceutical Journal – la rivista della Royal pharmaceutical society britannica – basato sull’analisi di dati diffusi dall’Ufficio qualità della Fda. Dati, scrive a chiare lettere la rivista, che sollevano «preoccupazioni sulla fragilità della catena di approvvigionamento globale» del farmaco.
Non invitano all’ottimismo neanche le statistiche sui controlli condotti dall’Agenzia europea del farmaco: come riferisce la rivista inglese, negli stessi diciotto mesi l’Ema ha diramato 22 avvisi di conformità (l’equivalente delle lettere di richiamo della Fda), 14 dei quali hanno avuto per destinatario un’azienda farmaceutica indiana o cinese.
Nel giugno di un anno fa, ricorda il Pharmaceutical Journal, le agenzie del farmaco di tutto il mondo hanno ritirato dal mercato migliaia di lotti di farmaci a base di valsartan proveniente da due fabbriche cinesi. Nel 2016 un incidente in un impianto di produzione, sempre in Cina, ha causato in tutto il mondo gravi carenze nelle forniture di farmaci a base di piperacillina-tazobactam, della quale il sito industriale era il principale produttore.
Il problema, suggerisce l’articolo, è che le principali aziende farmaceutiche hanno concentrato i propri approvvigionamenti di materie prime in pochi impianti, ubicati principalmente in India o in Cina. Un rapporto parlamentare del maggio 2018 sugli effetti della Brexit nel comparto farmaceutico inglese, ricorda la rivista, ha rivelato che l’80-90% dei farmaci generici utilizzati dal servizio sanitario sono importati, con Cina e L’India tra i primi cinque fornitori extra-Ue.
«La concentrazione in poche imprese della produzione mondiale di principi attivi è un fenomeno che dovrebbe impedirci di dormire» spiega al Pharmaceutical Journal Warwick Smith, direttore generale della British generic manufacturers association (l’equivalente della nostra Assogenerici) «se hai solo uno o due produttori per una molecola critica, vuol dire che c’è un punto debole nella catena di approvvigionamento». Per Warwick, in particolare, le aziende hanno delocalizzato in India o Cina la produzione di farmaci e sostanze farmaceutiche attive (API) per diversi motivi, tra i quali «norme sui brevetti meno rigide e il desiderio di ridurre i costi».
Per Atholl Johnston, esperto di farmacologia clinica alla Queen Mary University di Londra, va così riconosciuto al “caso valsartan” il merito di aver aperto gli occhi, perché ha rivelato che gran parte del principio attivo consumato in tutto il mondo viene prodotto da una sola azienda, il che rappresenta una «fragilità» della catena di approvvigionamento.
Non tutti però condividono le preoccupazioni di Johnston e colleghi. Un portavoce della Mhra, l’agenzia del farmaco britannica, ha ricordato che l’elevato numero di avvisi inviati ad aziende produttrici di India e Cina è proporzionato alle consistenti quote di produzione assicurate dai due Paesi. «Non c’è una differenza statistica significativa» ha rassicurato «tra il numero di casi di non conformità individuati nei siti del Regno Unito e quelli dei paesi extra-Ue».
Invitano alla stessa conclusione i dati forniti dall’Mhra al Pharmaceutical Journal: nel 2017 e nel 2018 soltanto il 5% delle ispezioni condotte dall’agenzia nei siti produttivi indiani ha individuato «carenze critiche», a fronte di un tasso del 4% tra le aziende britanniche. Tuttavia, osserva la rivista, i dati hanno anche rivelato che le ispezioni effettuate negli impianti indiani ha generato una dichiarazione di non conformità nel 6% dei casi, tra i produttori del Regno Unito solo nello 0,8% dei casi.