Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è scritto a chiare lettere sin dalle premesse della Missione 6, quella che istituisce le Case di comunità: il Ssn è afflitto da «significative disparità territoriali» nell’erogazione dei servizi, in particolare di prevenzione e assistenza, che vanno superate con l’adozione di «standard strutturali, organizzativi e tecnologici omogenei». Uniformità – in contrapposizione all’ordine sparso del regionalismo sanitario– sembra essere la parola d’ordine, ma i primi passi del Piano non sembrano andare in quella direzione. Lo suggerisce Cittadinanzattiva, che nel suo ultimo Rapporto sul federalismo in sanità – presentato la settimana scorsa a Roma – dedica un’appendice proprio alle Case di comunità.
Di fatto si tratta di una sorta di censimento delle strutture che le Regioni hanno programmato, sulla base dello stanziamento assegnato a ciascuna dal Pnrr e dei fondi eventualmente aggiunti dalle singole amministrazioni. Si tratta in sostanza di una mappatura di quello che c’è scritto sulle carte, ma già in questa fase emergono distanze consistenti nelle scelte delle Regioni. La più eclatante riguarda il quorum: il Pnrr ne prevede una ogni 40-50mila abitanti, un range che dovrebbe già lasciare sufficiente respiro ai programmatori regionali per calibrare le scelte rispetto alle singole realtà.
Invece, dalla mappatura di Cittadinanzattiva emerge una varietà di quorum che si fa fatica a giustificare con ipotetiche specificità locali: lasciamo da parte – per dimensioni – la Val d’Aosta, i cui piani prevedono due Case di comunità soltanto per un rapporto di una ogni 62mila abitanti; nelle altre Regioni il quorum oscilla tra i 50.827 abitanti per struttura della Liguria ai 54.542 della Provincia di Trento, dunque un po’ sopra la soglia massima indicata dal Pnrr ma con distanze abbastanza ridotte tra le singole amministrazioni.
(*) Eurostat 2020
Attenzione però: appena si scende sotto la metà dello Stivale il quorum crolla letteralmente e tutte le Regioni mostrano un rapporto Case di comunità/abitanti nettamente inferiore al range fissato dal Pnrr: tra i 32mila e i 35mila abitanti per struttura, con la Sardegna che evidenzia il quorum più basso (32.232 per Casa di comunità) e la Campania il più alto (quasi 33.800).
Non è per caso: come ricorda anche Cittadinanzattiva, il Governo ha voluto espressamente riservare alle Regioni del Sud una quota del finanziamento complessivo più consistente rispetto alle Regioni del Nord, allo scopo – almeno sulla carta – di ridurre lo squilibrio che in termini di efficienza dei servizi sanitari divide le due aree del Paese. E’ tutto da dimostrare, però, che una maggiore presenza di Case di comunità significhi migliore assistenza, un’ipotesi sulla quale anche le farmacie del territorio hanno i loro dubbi.
Anche perché, come sottolinea il Rapporto di Cittadinanzattiva, non basta costruirle queste strutture, bisognerà pure “riempirle” di medici, infermieri, pediatri, personale amministrativo e sociosanitario. E anche in questo caso i dati che arrivano dal Rapporto giustificano qualche perplessità.
Dati da Eurostat 2020 e Annuario Statistico della Sanità
Più che legittimi, quindi, gli interrogativi che pone nel documento Cittadinanzattiva: data l’atavica carenza di personale sanitario, ci saranno medici di famiglia, infermieri, specialisti, e altro personale a sufficienza perché tutto funzioni secondo le previsioni? L’assistenza territoriale verrà davvero garantita senza diseguaglianze? I numeri, e le notizie di queste ore sulla carenza di medici nei Pronto soccorso di diversi ospedali italiani, fanno pensare.