La spesa sanitaria non è più una scheggia impazzita dei bilanci pubblici, grazie principalmente ai sacrifici impartiti nell’ultimo decennio alla spesa per il personale e alla farmaceutica convenzionata. Ne beneficiano le casse dello Stato, che nel 2006 dovevano fare i conti con un deficit Ssn di oltre sei miliardi di euro e oggi invece devono gestire un passivo inferiore ai mille milioni. Questo il quadro che emerge dalla Relazione al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari delle Regioni per il 2016, presentata ieri dalla Corte dei conti. Le valutazioni dei magistrati contabili non possono che essere positive: a confronto con i sistemi sanitari dei maggiori Paesi europei, il Ssn «resta tra i meno costosi, pur garantendo, nel complesso, l’erogazione di buoni servizi». Anche se, ammette la Relazione, va tenuta alta la guardia, «perché la maggiore durata della vita e l’innovazione tecnologica su farmaci e dispositivi medici spingono inevitabilmente a un aumento della spesa». Di conseguenza, avverte la Corte dei conti, «occorrerà valutare se le politiche di contenimento saranno compatibili» con i costi di tale innovazione «e soprattutto se il sistema economico nel suo complesso sarà in grado di sostenere la richiesta di ulteriori risorse per il mantenimento di un adeguato livello delle prestazioni sanitarie erogate ai cittadini».
Incognite a parte, i numeri dicono che al tempo presente la spesa sanitaria pubblica è sotto controllo: nel 2016 ha toccato i 112 miliardi di euro, per un incremento medio nel periodo 2014-2016 di meno dell’1% all’anno e un’incidenza sul Pil del 6,73% (era il 6,8% nel 2013). Come già detto, per la Corte dei conti un contributo determinante al contenimento della spesa è arrivato «dalla riduzione delle uscite per i redditi da lavoro dipendente, dovuta al blocco delle procedure contrattuali e del turn over nelle Regioni in Piano di rientro, e dalla spesa per la farmaceutica convenzionata». Ha invece agito in senso algebricamente opposto la spesa per i consumi intermedi del Ssn, ossia i costi per le prestazioni sanitarie direttamente prodotte dagli erogatori pubblici, che cresce per «il sempre più diffuso utilizzo dei farmaci innovativi in ambito ospedaliero, il cui prezzo unitario è più elevato di quello dei farmaci tradizionali». La spesa farmaceutica convenzionata, in particolare, cala dai quasi 11 miliardi del 2009 agli otto del 2016, mentre quella per i consumi intermedi sale nello stesso periodo da 26,8 a 34,9 miliardi.
Il contenimento della spesa sanitaria pubblica ha costretto gli italiani a pagare sempre di più di tasca propria per quelle prestazioni che il Ssn non copre più. Il risultato, dicono i dati della Relazione, è che nel nostro Paese la spesa privata vale un quarto della spesa sanitaria totale, quando in Germania rappresenta il 15,4%, in Francia il 21,2%, nel Regno Unito il 20,8%. Ciò significa che nel 2016 ogni italiano ha speso di tasca propria in cure e farmaci circa 750 euro. Per le farmacie, è forse arrivato il momento di chiedersi quant’altro di quel budget – fascia C a parte – può essere “calamitato” nel canale.