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Covid-19 con ace-inibitori e sartani, Aifa: solo ipotesi, non cambiare le cure

18 Marzo 2020

Non c’è motivo per modificare le terapie anti-ipertensive a base di ace-inibitori o sartani ed esporre così i pazienti fragili che le stanno seguendo al rischio di effetti collaterali o eventi avversi cardiovascolari. E’ la raccomandazione diffusa ieri dall’Aifa dopo le voci di questi giorni sul presunto ruolo che gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina e gli antagonisti del recettore per l’angiotensina II eserciterebbero nella trasmissione di covid-19. «Attualmente» spiega l’Aifa «non esistono in merito evidenze scientifiche derivate da studi clinici o epidemiologici, ma soltanto ipotesi molecolari verificate con studi in vitro». Di conseguenza, «si ritiene opportuno non modificare la terapia in atto con anti-ipertensivi nei pazienti ben controllati», per non esporre ingiustificatamente i pazienti stessi a nuovi potenziali effetti collaterali.

Le stesse considerazioni, prosegue la nota dell’Aifa, sconsigliano l’ipotesi di utilizzare ace-inibitori e sartani anche in persone sane a fini profilattici: «è opportuno ricordare» scrive l’Agenzia «che tali farmaci vanno utilizzati esclusivamente per il trattamento delle patologie per le quali Riassunto delle caratteristiche del prodotto e Foglio illustrativo riportano un’indicazione approvata».

L’ipotesi che ace-inibitori e sartani agevolino l’infezione da coronavirus era circolata nei giorni scorsi anche in Germania: all’origine, come spiega in un articolo la rivista specializzata Daz.online, c’è la tesi che Sars-CoV-2 (ossia covid-19) così come il precedente Sars-CoV (il virus dell’aviaria) userebbero l’enzima Ace2 per entrare nelle cellule del tessuto cardiaco (miociti) e polmonare (pneumociti). Il condizionale però è d’obbligo, come spiega un servizio del webmagazine della Fondazione Veronesi, perché «il riscontro è finora giunto soltanto su modelli animali». Allo stato attuale, dunque, «la relazione rappresenta un’ipotesi di ricerca che, in assenza di dati raccolti sull’uomo, non deve indurre a variare il piano terapeutico», come confermano anche gli interventi di Siia (Società italiana dell’ipertensione arteriosa), Simg (Società italiana di medicina generale), Siec (Società europea di cardiologi) e Sif (Società italiana di farmacologia).