Nella popolazione dai 12 anni in su e senza una diagnosi pregressa di infezione da Sars-CoV-2, il rischio di contrarre la forma grave della malattia è circa sette volte più alto nei non vaccinati rispetto ai vaccinati. Più in generale, le persone con immunità ibrida (da infezione pregressa o vaccinazione) hanno meno rischi di infezione; inoltre, nella stessa fascia di età e a parità di condizione (infetti pregressi o no), la vaccinazione è associata a una riduzione del rischio di malattia grave.
Sono alcune delle conclusioni provenienti dal Report sul rischio di infezione e malattia grave stratificato diffuso ieri dall’Istituto superiore di sanità. Le osservazioni si basano sui dati disponibili al 14 novembre scorso e dicono che a quella data la percentuale di popolazione con ultima dose da meno di sei mesi è pari all’8,7% della popolazione suscettibile e quasi esclusivamente rappresentata da persone over 60. Il 50% dei vaccinati ha ricevuto l’ultima dose da almeno 310 giorni e la percentuale di pazienti senza una pregressa diagnosi di covid è pari al 64% della popolazione suscettibile. Di questa, il 50% avuto una diagnosi di infezione da Sars-CoV-2 da almeno 284 giorni.
Il rischio di malattia grave, continua il Report, aumenta all’aumentare dell’età, a esclusione della fascia 0-4 anni, e sotto i sessant’anni non supera mai i 10 casi per 100mila vaccinati. Determinanti, rispetto all’incidenza del rischio, sono sia lo stato vaccinale sia le infezioni pregresse. Il rischio assoluto di infezione e di malattia grave è maggiore nelle persone non vaccinate e senza alcuna pregressa diagnosi.