Nei pazienti affetti da covid una condizione di obesità lieve (Bmi 30-35) può incrementare il rischio di insufficienza respiratoria, ricovero in terapia intensiva e mortalità. A prescindere da altri fattori come l’età, il genere e dalla presenza di malattie concomitanti. Sono le conclusioni dello studio condotto dal dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, pubblicato sull’European Journal of Endocrinology.
I motivi della correlazione devono ancora essere indagati: all’origine potrebbe esserci un indebolimento della risposta immunitaria alle infezioni virali, alterazioni delle funzioni polmonari, stati di infiammazione cronica connessi all’obesità. «La nostra ipotesi» spiega Matteo Rottoli, il ricercatore dell’Università di Bologna che ha guidato lo studio «è che le conseguenze dell’infezione da Sars-CoV-2 siano legate al profilo metabolico dei pazienti, il che spiegherebbe il ruolo dell’obesità in connessione con la sindrome metabolica e con il diabete. Il prossimo passo sarà quello di individuare i meccanismi alla base di questa causalità».
La ricerca potrebbe indurre il mondo scientifico a una rivalutazione delle condizioni di obesità correlate a complicanze e mortalità da covid. Attualmente, infatti, le linee guida adottate da diversi Paesi, come Regno Unito e Stati Uniti, indicano tra i criteri i per individuare le categorie a rischio un Bmi superiore a 40, ossia obesità severa. «Il nostro studio ha mostrato che tutti i livelli di obesità sono associati allo sviluppo di forme gravi di Covid-19» osserva Rottoli «i risultati suggeriscono quindi che anche le persone affette da obesità lieve dovrebbero essere identificate come parte della popolazione maggiormente a rischio».