Il decreto ministeriale che nel marzo 2017 vietò la prescrizione di preparazioni magistrali a base di 16 sostanze (tra le quali sertralina, buspirone, fenilefrina, fluvoxamina e idrossizina) non pecca di irragionevolezza o illogicità, scaturisce da valutazioni approfondite dell’Istituto superiore di sanità e dell’Aifa e non viola né la libertà prescrittiva del medico né quella d’iniziativa economica delle farmacie. Il cui regime, come sostiene la nota sentenza del 2014 della Corte costituzionale sulla fascia C, «va ricondotto nella materia della “tutela della salute” anche se questa collocazione non esclude che alcune delle relative attività possano essere sottoposte alla concorrenza». Sono i passaggi cardine della sentenza con cui il Tar Lazio ha respinto il ricorso presentato da alcuni farmacisti titolari per impugnare il decreto del ministero della Salute datato 31 marzo 2017.
Il provvedimento, come si ricorderà, correggeva un altro decreto di poco precedente (22 dicembre 2016) riducendo da 40 a 16 le sostanze vietate nelle preparazioni magistrali a scopo dimagrante. La sfoltimento era frutto del lavoro condotto tra gennaio e marzo al Tavolo sulla galenica, istituito dal Ministero su richiesta di Federfarma e Fofi e partecipato, oltre che dalle due organizzazioni, anche da Sifap, Utifar, Asfi, Assofarm e Fnomceo (medici).
Il ricorso, presentato nel luglio successivo da alcuni farmacisti, rimproverava al decreto l’assenza di valide giustificazioni e di motivazioni sorrette da adeguate istruttorie, nonché la violazione della libertà prescrittiva del medico e del principio di concorrenza, «perché nel vietare l’uso dei 16 principi attivi solamente nelle prescrizioni di farmaci su misura mediante preparazioni magistrali a scopo dimagrante, consente invece l’utilizzo, anche in associazione, alle industrie e la commercializzazione in forma di specialità medicinali».
Nessuna delle considerazioni dei ricorrenti è stata accolta dal Tar. Per quanto riguarda la ragionevolezza e la legittimità del decreto, i giudici amministrativi hanno ricordato la segnalazione dei Nas (datata giugno 2016) dalla quale è partita tutta la vicenda e i pareri dell’istituto superiore di sanità così come della Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa. Sulla libertà prescrittiva dei medici, è stato rammentato l’articolo 154, comma 2, del d.lgs 219/2006, che consente al Ministero di «vietare l’utilizzazo di medicinali, anche preparati in farmacia, ritenuti pericolosi per la salute pubblica». Infine, a proposito di concorrenza, i giudici hanno ricordato gli indirizzi consolidati della giurisprudenza italiana, che raccomanda «un adeguato bilanciamento tra valori costituzionalmente garantiti quali da un lato il diritto alla salute ex articolo 32 della Costituzione e dall’altro il principio di libertà di iniziativa economica ex articolo 41, laddove il primo è definito come diritto fondamentale dalla Costituzione e il secondo non può mai essere esercitato in danno della sicurezza e della dignità umana». Stesso indirizzo, ricordano i giudici laziali, anche dall’articolo 36 del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che «lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di tutela della salute o della vita delle persone». Né, per finire, va dimenticata la sentenza della Corte costituzionale216/2014, che «in ordine al rapporto tra diritto alla salute e concorrenza» riferito «alla legittimità del divieto per le parafarmacie di vendere farmaci in fascia C perché necessitanti di prescrizione medica», ha ricordato come «il regime delle farmacie vada ricondotto nella materia della “tutela della salute”». Un memento che di questi tempi male non fa.