In assenza di un formale provvedimento dell’Asl da impugnare, la condotta tenuta dai medici di famiglia che ricorrono alla ricetta bianca per prescrivere farmaci della distribuzione diretta non può essere perseguita dalle farmacie davanti alla giustizia amministrativa, perché l’accusa non rimanda a un «illegittimo» esercizio di potere da parte della Pubblica amministrazione, ma semmai a un «illecito» comportamento che va a incidere su diritti soggettivi. E’ il passaggio saliente della sentenza con cui il Consiglio di Stato ha respinto l’appello presentato nell’ottobre 2013 da Federfarma Parma contro la decisione di primo grado del Tar dell’Emilia Romagna, risalente alla primavera dello stesso anno. La vicenda riguarda un tema particolarmente sentito dalle farmacie delle regioni dove la distribuzione diretta è più intensa, ossia il frequente ricorso dei medici di famiglia alle ricette bianche per “forzare” gli assistiti a ritirare i medicinali prescritti nelle farmacie ospedaliere.
Per contrastare questo fenomeno, nel 2010 l’associazione titolari di Parma aveva portato l’Azienda sanitaria cittadina davanti al Tar con l’accusa di «violazione delle disposizioni in materia di prescrizione dei farmaci a carico del Ssr». In mancanza di un provvedimento aziendale impugnabile, Federfarma aveva chiesto ai giudici amministrativi «l’accertamento dell’illegittima modalità di distribuzione dei farmaci» e quindi un’ordinanza di «immediata cessazione dell’illegittimo comportamento tenuto dalle farmacie pubbliche», nonché «di ogni altro comportamento connesso a tale modalità di dispensazione». Per Federfarma, infatti, il ricorso alle ricette bianche non comporta soltanto un «danno ai farmacisti titolari di farmacie private, in quanto di fatto i pazienti sono indotti a rifornirsi esclusivamente presso le strutture pubbliche», ma costituisce anche «un’elusione della ratio della tracciabilità delle prescrizioni, sottesa all’introduzione della ricetta a lettura ottica».
La sentenza del Tar emiliano, risalente al marzo 2013, respinse il ricorso per inammissibilità ma nell’ottobre successivo Federfarma Parma presentò appello davanti al Consiglio di Stato. Il quale, con la decisione depositata il 19 settembre scorso, ha riconfermato l’inammissibilità ma con differenti motivazioni, che meritano di essere approfondite. Anche perché i giudici di secondo grado non contestano i fatti denunciati dall’associazione titolari: come riportano alcune ispezioni dei Nas condotte nel 2010, sussiste tra i medici «la consuetudine di utilizzare la ricetta bianca per indirizzare i pazienti sui punti di erogazione diretta». Secondo quanto riferito dai responsabili del Servizio farmaceutico dell’Asl, si tratterebbe però di una pratica «occasionale» nata «antecedentemente all’organizzazione della “distribuzione per conto”»; in sostanza l’Azienda sanitaria non avrebbe mai «diramato disposizioni scritte ai medici di medicina generale» e la prassi sarebbe «destinata a scomparire con l’inserimento di ulteriori farmaci nella dpc».
Per il Consiglio di Stato ciò basta ad accertare l’inammissibilità del ricorso. Non perché vengono presi per buoni gli impegni dell’Asl, ma perché l’impugnazione di Federfarma esula dalla sfera d’intervento della giustizia amministrativa. «Dai rapporti» scrivono i giudici «emerge che si tratta di meri comportamenti tenuti dai medici di medicina generale», dunque «parte appellante ne avrebbe dovuto censurare, nelle sedi competenti e con le azioni appropriate, la pretesa illiceità e non la pretesa illegittimità». In altri termini, «la dedotta violazione sistematica della disciplina della distribuzione dei farmaci ai cittadini non dipende da corrispondenti disposizioni illegittime dell’Asl Parma (di cui Federfarma avrebbe dovuto chiedere l’annullamento), né consente alla stessa Federfarma di domandare l’accertamento di tale illegittimità».