Dopo le Regioni, ci si mette anche la Fondazione Gimbe a fare le pulci ai costi che gli italiani devono sopportare quando non vogliono o non possono farsi sostituire il “branded” con l’equivalente meno caro. Costi che, al contrario di quelli per i ticket sulle ricette (prestazioni o farmaci), risultano in costante ascesa. Cifre e percentuali sono affidate al Report che l’Osservatorio del Gimbe (Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze) ha diffuso ieri: nei quattro anni che vanno dal 2014 al 2017, dicono i dati, la spesa complessiva sostenuta dagli italiani per ticket e compartecipazioni è rimasta pressoché stabile attorno ai 2,88 miliardi di euro. Hanno invece subito significative evoluzioni le due voci che compongono tale spesa: il gettito assicurato dai ticket per la diagnostica è calato nel quadriennio del 7,7%, quello proveniente dai ticket sui farmaci è invece aumentato del 7,9%, dai 1.320 milioni circa del 2014 ai 1.550 del 2017.
Tale crescita, dicono ancora le elaborazioni del Gimbe, va addebitata a una soltanto delle due voci che contribuiscono al gettito: tra il 2013 e il 2017, infatti, le risorse assicurate dal ticket a quota fissa sulle ricette che prescrivono farmaci sono calate dell’11%, da 558 a 498 milioni di euro; quelle provenienti dalla compartecipazione sugli equivalenti, invece, sono cresciute di circa il 20%, da 878 a 1.050 milioni di euro. Ciò significa che nel 2017 più di un terzo della spesa complessiva sostenuta dagli italiani per accedere alle cure del Ssn (un miliardo su 2,8) deriva dalla differenza che il cittadino deve pagare quando l’equivalente dispensato ha un prezzo superiore alla quota di rimborso. Un miliardo che potrebbe essere risparmiato se gli italiani scegliessero sempre il generico meno caro, cioè quello che il Ssn rimborsa interamente.
Per la Fondazione Gimbe, l’evidenza dimostra che in Italia c’è ancora molto da lavorare sulla cultura del generico. L’Ocse, ricorda al riguardo il Rapporto, colloca l’Italia al penultimo posto sui 27 Paesi che rappresenta per i ritardi con cui procede il mercato nazionale dei generici: 8,4% a valori rispetto a una media del 25% e 19,2% a volumi contro una media del 51,5%. «Nonostante l’impegno per migliorare l’efficienza della spesa farmaceutica» scrive l’Organizzazione a proposito dell’Italia «gli equivalenti costituiscono ancora una piccola percentuale del volume complessivo dei medicinali oggetto di prescrizione medica».
In realtà il ritardo non è di tutto il Paese ma di una parte soltanto. Lo dimostrano le medie procapite sulla compartecipazione per gli equivalenti: nel 2017 ogni laziale ha pagato 22,9 euro per non aver scelto l’off patent dal prezzo più economico, a Bolzano la spesa media procapite si è fermata a 10,5 euro. In particolare, tutte le Regioni con le performance peggiori rispetto alla media nazionale sono del Centro-sud: oltre al già citato Lazio, Sicilia (22,1 euro), Calabria (21,2 euro) Basilicata (21,2 euro), Campania (20, 9 euro), Puglia (20,7 euro), Molise (20,3 euro), Abruzzo (19,5 euro), Umbria (19,5 euro) e Marche (18,2 euro). In sostanza, le regioni meno ricche del Paese – dove il potere d’acquisto del consumatore è più risicato – sono anche quelle dove si spende di più per una compartecipazione che, al contrario dei ticket sulle ricette, è facoltativa e potrebbe essere evitata.
Le conclusioni cui giunge il Report del Gimbe non sono molto diverse da quelle espresse nelle settimane scorse dal ministro Grillo: «Sono indispensabili azioni concrete per aumentare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, in particolare nelle regioni del Centro-sud, visto che la preferenza per i “branded” oggi pesa per oltre un terzo della cifra totale sborsata dai cittadini per i ticket e per oltre 2/3 della compartecipazione per i farmaci».
Come si ricorderà, appena un giorno prima della pubblicazione del Report Gimbe anche le Regioni erano intervenute sul tema della spesa privata per gli equivalenti. L’occasione l’aveva fornita l’audizione della commissione Igiene e sanità di Palazzo Madama sullo stato di salute del Ssn e sul tema Antonio Saitta, coordinatore degli assessori regionali alla Salute, aveva presentato proposte decisamente più draconiane di quelle del Gimbe: altro che cultura, per ridurre la spesa degli italiani sugli equivalenti basta introdurre un tetto al gap di prezzo che può sussistere tra il generico meno caro e gli altri medicinali della medesima classe di equivalenza; chi sta sopra viene escluso del tutto rimborsabilità.
A mettere assieme tutti gli interventi di queste ultime settimane sui costi sostenuti dagli italiani per gli equivalenti, viene spontaneo chiedersi perché tutto questo ridestato interesse. Il tema, come i farmacisti sanno meglio di altri, non tocca la spesa farmaceutica pubblica, perché il Ssn rimborsa sempre la stessa cifra a prescindere dal prezzo del generico che l’assistito sceglie. Incuriosisce soprattutto la preoccupazione delle Regioni: perché tutto questo interesse per ciò che esce dalle tasche degli italiani, quando alcune di loro non si fanno scrupoli a costringere i propri assistiti a costose peregrinazioni in Asl e ospedali per ritirare i farmaci della distribuzione diretta? Viene il sospetto che dietro ci siano i piani delle stesse Regioni per le gare in equivalenza terapeutica e il riordino del Prontuario, dalle quali potrebbero arrivare strette che dovrebbero essere fatte poi capire agli italiani. Se ne capirà di più dai prossimi giorni, con la convocazione del tavolo sulla governance da parte del ministero della Salute.