Lo avevano scritto prima la Commissione europea, nella Relazione indirizzata all’Italia con le raccomandazioni per correggere gli squilibri macroeconomici, e poi più recentemente l’Ocse, in un rapporto diffuso all’inizio del mese e tratto dalla banca dati dell’Organizzazione: in media il nostro Paese spende per la sanità meno degli altri Stati membri, per farmaci invece più della media. I dati diffusi dall’Ocse, per esempio, dicono che la nostra spesa sanitaria (pubblica e privata, a parità di potere d’acquisto) ha toccato nel 2018 i 3.428 dollari, quella degli altri Paesi ha sfiorato i 4mila. Nella farmaceutica, invece, la spesa ammonta in Italia a 601 dollari procapite, nell’Ocse 553 dollari.
Ma è proprio così? Secondo Barbara Polistena e Daniela d’Angela, ricercatrici del Crea Sanità (il centro di ricerche economiche in sanità dell’università di Roma Tor Vergata), ci sono ampi motivi per dubitare. Il fatto, scrivono le due studiose in un articolo pubblicato su Quotidiano Sanità, è che i valori della spesa farmaceutica «sono raccolti in maniera difforme nei diversi Paesi: per esempio, solo in alcuni (tra i quali l‘Italia) sono inclusi spesa ospedaliera e iva. Un confronto ristretto ai soli Paesi Top 5-Ue (Italia, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito) rivela per esempio che spendiamo meno della Germania e della Francia, ma nel dato tedesco non è inclusa la spesa farmaceutica ospedaliera e in quello francese è esclusa l’iva (ed è invece inclusa la spesa per i farmaci senza ricetta. Spendiamo invece di più di Spagna e Regno Unito, ma il dato iberico manca del totale della farmaceutica ospedaliera e dell’automedicazione e quello inglese di automedicazione e iva.
«Considerando quindi che l’Italia è fra i pochi Paesi in cui l’Ocse rileva buona parte della spesa, inclusa quella ospedaliera» concludono le due ricercatrici «si può affermare che la spesa italiana è, contrariamente alle apparenze, presumibilmente e significativamente inferiore a quella media europea». Alla luce poi della demografia italiana, caratterizzata da una netta prevalenza delle fasce d’età più mature, «è ragionevole pensare che i prezzi medi in Italia siano “contenuti” per merito della capacità negoziale di Aifa e dell’interesse a discriminare il prezzo da parte delle imprese farmaceutiche».