Prosegue la battaglia dei laboratori contro la farmacia dei servizi. Ieri, in particolare, un lancio dell’Adnkronos riporta l’appello dell’Uap, L’Unione nazionale ambulatori, poliambulatori, enti e ospedalità privata, al presidente della Repubblica Mattarella perché «nella sua qualità di tutore e garante della Costituzione faccia chiarezza sui fondi erogati alle farmacie e sulla palese violazione dell’articolo 78 del Regio Decreto 1265/1934, che prevede espressamente l’incompatibilità della professione sanitaria con quella di commerciante».
Per l’organizzazione di categoria, in sostanza, gli interventi normativi che equiparano le farmacie alle strutture sanitarie spingono alla conclusione che «anche le strutture sanitarie private possano erogare servizi sanitari senza il rispetto dei 420 requisiti richiesti dal D.lgs 502/1992, senza dover subordinare l’esercizio della propria attività a preventive autorizzazioni regionali». Le farmacie, ricorda all’agenzia stampa il presidente dell’Uap, Mariastella Giorlandino, «non possiedono i requisiti richiesti dalla citata normativa, ma agiscono in virtù di una mera autorizzazione comunale (prevista ai sensi della Legge 153/2009) che gli riconosce la possibilità di eseguire esami di autocontrollo, tipo pungidito, che non forniscono una diagnosi esatta e che, soprattutto, non individuano alcun responsabile civile e penale di chi ha eseguito l’esame nei casi di eventuale errore diagnostico».
In più c’è la questione economica: «Un elettrocardiogramma eseguito in farmacia in telemedicina» prosegue Orlandino «viene rimborsato 30 euro; di contro, un elettrocardiogramma eseguito e refertato da un medico viene rimborsato alle strutture sanitarie soltanto 12 euro (ma all’interno di un pacchetto che comprende anche la visita medica, remunerata a parte ndr). È scandaloso constatare che per le farmacie sono previsti fondi maggiori rispetto a quelli erogati alle strutture sanitarie e agli ospedali pubblici, mentre solo qualche mese fa era previsto un taglio dell’80% dei rimborsi previsti alle strutture ospedaliere e alle strutture accreditate convenzionate nelle Regioni in piano di rientro, in forza di una presunta mancanza di fondi per finanziare la sanità pubblica italiana».