Fa ancora fatica ad affermarsi l’uso del Fascicolo Sanitario Elettronico (Fse), lo strumento digitale che dovrebbe rappresentare il pilastro della modernizzazione del Servizio sanitario nazionale. Come emerge dal report della Fondazione Gimbe, presentato al 19° Forum Risk Management di Arezzo, l’adozione del Fse procede in ordine sparso nelle diverse realtà regionali ed evidenzia un utilizzo ancora limitato, sia da parte dei cittadini sia degli operatori sanitari, con implicazioni dirette per le farmacie territoriali, chiamate a operare in un sistema non ancora armonizzato.
Al 31 agosto scorso, appena il 41% degli italiani ha espresso il consenso alla consultazione dei propri dati sanitari. Un dato che varia drasticamente dall’89% dell’Emilia-Romagna all’1% registrato in Abruzzo, Calabria, Campania e Molise. Nelle Regioni del Sud, l’adesione è mediamente molto bassa, con l’unica eccezione della Puglia, che raggiunge il 69%, superando la media nazionale. L’Emilia-Romagna, al vertice, spicca per l’organizzazione e la capacità di costruire fiducia nei confronti dei cittadini, mentre il Sud sconta una diffusa diffidenza e una scarsa alfabetizzazione digitale. In media, solo il 18% degli italiani ha utilizzato il Fse almeno una volta negli ultimi tre mesi. Questo dato, calcolato tra i cittadini per cui è stato caricato almeno un documento nel fascicolo, è trainato dalle performance della Provincia autonoma di Trento (50%), che si pone all’estremo opposto rispetto a Marche e Sicilia, ferme all’1%. Tra le Regioni del Sud, la Campania raggiunge una discreta media del 18%, mentre Calabria e Abruzzo si attestano al di sotto del 3%. Per le farmacie, questi numeri indicano un sistema ancora acerbo, che necessiterebbe di una maggiore promozione per valorizzare le potenzialità del Fs4 come archivio interattivo e strumento per la continuità assistenziale.
Le farmacie territoriali si trovano a operare in un panorama estremamente frammentato. Sul fronte della completezza documentale, il Lazio è l’unica Regione a includere nel Fse tutte le tipologie di documenti previste, mentre Marche e Puglia si fermano al 63%. Questo significa che un cittadino può accedere a una gamma limitata di referti, prescrizioni o certificati a seconda della Regione di residenza, con pesanti ripercussioni sulla continuità delle cure, soprattutto per chi si sposta sul territorio nazionale. Analoghe disparità si osservano per i servizi disponibili tramite Fse: Lazio (67%) e Toscana (64%) sono le uniche a superare la soglia del 60%, offrendo funzioni come la prenotazione di visite ed esami, il pagamento dei ticket e la scelta del medico di medicina generale. In Calabria e Abruzzo, al contrario, i servizi accessibili tramite il fascicolo si fermano all’8%, riducendo drasticamente l’utilità pratica dello strumento. «L’assenza di un’integrazione completa dei servizi – ha sottolineato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – riduce il potenziale del FSE come strumento di innovazione e accessibilità ai servizi sanitari, limitando le opportunità per i cittadini di beneficiare di una sanità realmente digitale».
Un quadro più confortante emerge dall’utilizzo del Fse da parte dei medici di famiglia e pediatri di libera scelta: il 94% di loro ha effettuato almeno un accesso nel trimestre giugno-agosto 2024. Basilicata, Emilia-Romagna, Lazio, Molise, Piemonte e altre cinque Regioni raggiungono il 100%, mentre la Lombardia è fanalino di coda con l’81%. Questa alta partecipazione è incoraggiante, poiché i medici di medicina generale rappresentano uno snodo cruciale per l’integrazione del FSE nel percorso di cura dei pazienti. Diverso è il caso dei medici specialisti: solo il 76% risulta abilitato alla consultazione, con differenze regionali marcate. Lombardia, Piemonte e Molise raggiungono il 100%, ma in Umbria e Marche la percentuale crolla rispettivamente all’1% e al 2%, e la Liguria si ferma addirittura allo 0%.
Una prospettiva interessante per le farmacie riguarda l’imminente dematerializzazione della ricetta bianca, prevista per il 2025. Grazie a questa innovazione, le prescrizioni non a carico del SSN saranno integrate nel Fse, semplificando la gestione dei farmaci e aumentando l’efficienza del sistema. Come sottolinea Cartabellotta, «la ricetta bianca dematerializzata rappresenta un significativo passo avanti verso una sanità sempre più digitale e integrata». Questo cambiamento dovrebbe consentire alle farmacie di rafforzare il proprio ruolo nella gestione digitale delle prescrizioni, ma richiederà un adeguamento tecnologico e formativo, sia per gli operatori sia per i cittadini.
Per ridurre le diseguaglianze e garantire un accesso uniforme al Fse su tutto il territorio, la Fondazione Gimbe sollecita un nuovo patto nazionale per la sanità digitale, che coinvolga Governo e Regioni. È essenziale investire in infrastrutture, formazione e sensibilizzazione, per superare le barriere tecnologiche e culturali che ancora ostacolano l’adozione del Fse. Come ha concluso Cartabellotta, «senza un piano di integrazione nazionale rischiamo di generare nuove diseguaglianze in un sistema sanitario che già viaggia a velocità diverse».