Anche se soci di mero capitale in una società di farmacia e quindi estranei alla direzione della farmacia, i farmacisti iscritti all’albo sono comunque soggetti al divieto di intrattenere «qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato» e alle altre incompatibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c, della legge 362/1991. E’ quanto ribadisce il Tar del Lazio nella recentissima sentenza del 2 maggio scorso, che conferma il provvedimento risalente al giugno dell’anno scorso con cui Roma Capitale aveva revocato l’autorizzazione all’apertura di una farmacia assegnata con il concorso straordinario.
Il caso scaturisce dalla determina del 31 agosto 2016, con cui la Direzione salute e politiche sociali della Regione aveva assegnato la sede numero 793 del Comune di Roma all’associazione (composta da due farmaciste) collocatasi in 18a posizione nella graduatoria concorsuale. Un anno dopo, nel settembre 2017, l’amministrazione capitolina rilasciava l’autorizzazione all’apertura alle due professioniste «in qualità di co-titolari», ma nel marzo successivo la Direzione salute e politiche segnalava che una delle due farmaciste «risultava prestare servizio quale professore associato a tempo pieno presso il Dipartimento di chimica e tecnologie del farmaco della Facoltà di farmacia e medicina dell’Università degli studi di Roma La Sapienza». Il giorno stesso il Comune di Roma inviava alla farmacista una comunicazione nella quale segnalava di non avere agli atti documenti che attestassero le dimissioni dall’incarico accademico (incompatibile con la titolarità di farmacia), quindi tre giorni dopo – in assenza di risposte dall’interessata – avvisava le due co-titolari dell’avvio della procedura per la revoca dell’autorizzazione.
Nel ricorso al Tar, presentato dalla sas costituita dalle due vincitrici e dalla socia che ricopre la carica di direttore della farmacia (e non ha altri rapporti di lavoro), si sostiene tra le altre cose che la docente universitaria non partecipa «alla titolarità e alla gestione del servizio farmaceutico», è quindi un semplice socio di capitale e pertanto nei suoi confronti «la titolarità è poco più che un semplice nomen iuris». Le incompatibilità previste dall’articolo 8, comma 1, della 362/1991, in altri termini, «non si applicano ai soci di capitali delle società costituite per l’esercizio della farmacia, ove tali soci non siano coinvolti nella gestione della società».
Non è dello stesso avviso il Tar laziale: «La farmacista» si legge nella sentenza «ha ottenuto l’assegnazione della sede farmaceutica avvalendosi della previsione dell’articolo 11, comma 7, del decreto legge 1/2012, dove si stabilisce una correlazione necessaria tra co-titolarità e co-gestione della farmacia, per un periodo di almeno tre anni, quale conseguenza della partecipazione congiunta alla procedura per l’assegnazione della sede». In ogni caso, prosegue il Tribunale, non può «comunque essere condivisa la tesi di parte ricorrente, secondo la quale nei confronti dei soci che non partecipano alla gestione non opererebbero le incompatibilità normativamente prescritte rispetto alla titolarità di rapporti di lavoro». Come già aveva chiarito il parere numero 69/2018 della Commissione speciale del Consiglio di Stato, le cause di incompatibilità di cui all’articolo 8 «devono sempre trovare applicazione nei confronti dei soci e dei direttori responsabili della farmacia che siano farmacisti iscritti all’albo, mentre la causa di incompatibilità di cui all’articolo 7, comma 2, secondo periodo (“La partecipazione alle società di cui al comma 1 è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica”), si applica a tutti i soci, farmacisti e non».