«Il parere del ministero della Salute sulle incompatibilità a carico dei farmacisti che lavorano in farmacie di cui sono soci? Se ho ben compreso i quesiti e le risposte, potrebbe venirne fuori un bel pasticcio». Quintino Lombardo, esperto di legislazione della farmacia, ha appena letto l’intervento con cui l’Ufficio legislativo del dicastero aveva risposto un paio di settimane fa a due quesiti di un’Asl piemontese in tema di soci di società titolari di farmacia. Un intervento di cui fa fatica a rinvenire quello che gli avvocati come lui definiscono “la ratio”.
Aiuti a capire: che c’è di tanto “stonato” nel parere del Ministero?
Semplice: con l’approvazione della Legge Bersani del 2006, il legislatore dice ai farmacisti che possono detenere più quote di più società, ciascuna delle quali non può controllare più di quattro farmacie. Con l’approvazione della 124/2017, la Legge sulle concorrenza, il principio si applica anche alle società di capitali e ai soggetti non farmacisti.
E le incompatibilità della 362/91?
Quella legge era stata varata quando una farmacia poteva partecipare ad una sola società e ogni società di farmacisti poteva possedere una sola farmacia. Non è mai stata cambiata, quindi dopo la legge Bersani, che ha consentito le partecipazioni societarie multiple, si è affermata un’interpretazione secondo la quale le incompatibilità valgono per le situazioni che riguardano farmacie di cui il farmacista non è socio. E’ una linea che si può definire di “miglior compromesso”: perché dovrei vietare al farmacista che ha partecipazioni in più farmacie di lavorare in una di queste? Quale guadagno ne ricava il servizio farmaceutico? Qual è l’interesse pubblico?
Il Ministero però sembra dire che la sua interpretazione ricalca quanto disse il Consiglio di Stato a dicembre…
E invece no, perché è evidente che il Consiglio di Stato, quando parlava di incompatibilità, si riferiva ai titolari individuali che hanno partecipazioni in farmacie “altre” e comunque sottolineava l’importanza dell’impegno personale del farmacista. Anche su alcuni passaggi di quel parere non mancano le perplessità, ma resta il fatto che il Ministero dice cose diverse dal Consiglio di Stato. Diverse e, secondo me, pure in contrasto.
E ora che succederà?
Spero nulla. Non vedo ragioni per le quali le Aziende sanitarie dovrebbero spostarsi dalla linea interpretativa seguita finora, di cui parlavamo. Lo ripeto, l’interpretazione che emerge dal parere non convince, non se ne coglie la ratio d’interesse pubblico»