Non sbaglia il grossista che distribuisce “mascherine di comunità” prive di marchio Ce, perché il reato di truffa in commercio si configura soltanto quando la mancanza di certificazione riguarda le mascherine chirurgiche o quelle classificate come dpi. E’ quanto scrive la Corte di cassazione nella sentenza 29578 del 26 ottobre che accoglie il ricorso di due imprenditori contro il sequestro di 26mila mascherine convalidato nel maggio scorso dal Tribunale di Genova.
Per i ricorrenti, in sintesi, l’intervento è illegittimo perché gli articoli bloccati non erano assoggettati all’obbligo del marchio Ce. Dello stesso parere la Cassazione, secondo la quale il giudice è caduto in una «petizione di principio». Nel provvedimento di sequestro, infatti, il Tribunale qualifica le mascherine come “chirurgiche” e ne deduce poi la contraffazione. Ma, scrive la Corte, nel caso specifico non era stata fornita alcuna evidenza che le mascherine fossero state vendute come «presidi medici ai fini della prevenzione del contagio da covid-19, unica condizione questa che, imponendo le certificazioni, sarebbe stata necessaria ed idonea a far ritenere astrattamente integrato il reato». Del resto, conclude la Cassazione, elemento non trascurabile è che il sequestro è avvenuto in un negozio di ferramenta e non presso una farmacia.