L’Agenzia Europea dei Medicinali (Ema), la Commissione europea e gli Stati membri dell’Unione stanno lavorando a stretto contatto da due anni con l’industria farmaceutica perché pianifichi in anticipo i cambiamenti indotti dalla Brexit. L’obiettivo, in particolare, è quello di «minimizzare l’impatto sulla fornitura di medicinali nel caso in cui il Regno Unito lascerà l’Ue senza un accordo di ritiro». A scriverlo è la stessa Agenzia europea in un comunicato riportato ieri dall’Aifa, nel quale si fa il punto sulla cosiddetta Brexit, sempre più vicina allo scenario “no deal” (cioè uscita senza accordo): «il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha notificato all’Ue la volontà di recedere dall’Unione» ricorda l’Ema «ai sensi dell’Articolo 50 del Trattato è previsto che il Paese britannico lasci entro il 29 marzo 2019. Tuttavia, la data di recesso è stata posposta a seguito dell’accoglimento da parte del Consiglio europeo della richiesta di proroga di Londra».
Al momento, prosegue la nota, non è ancora chiaro a quali condizioni il Regno Unito uscirà dall’Ue. Se un accordo di recesso verrà approvato ed entrerà in vigore, ci sarà un periodo di transizione durante il quale la normativa comunitaria continuerà a essere applicata nell’Isola. Ciò significa che l’accesso ai medicinali non verrà influenzato. «Se invece, il Regno Unito lascerà l’Ue senza un patto o un accordo di recesso, il diritto dell’Ue cesserà di essere applicato nel Regno Unito a partire dal 30 marzo 2019». In questo caso, per poter continuare a fornire alcuni medicinali nel mercato unico, le aziende che svolgono determinate attività nel Regno Unito dovranno apportare modifiche per conformarsi alla legislazione comunitaria.