Effetto dejà vu dalle prime schermaglie tra Governo e Regioni sulla Manovra per il prossimo anno e sui fondi che la Legge di Bilancio assegnerà al Ssn. Lo stanziamento programmato ammonta a 114,4 miliardi di euro, uno in più sul 2018, ma ieri il coordinatore degli assessori regionali alla Sanità, Antonio Saitta (foto), ha chiesto che l’incremento salga a 2,5 miliardi, per un totale di 115,9. «E’ quanto serve per avere risposte sul fronte dei rinnovi contrattuali in sanità e sulle assunzioni» ha detto all’Adnkronos «ci si lamenta delle liste di attesa, dei pronto soccorso, ma tutto è legato al tema del personale». Se poi nella Manovra il Governo metterà anche l’abolizione di ticket e compartecipazioni, allora il conto dovrà salire ancora: «Il superticket vale da solo 400-500 milioni di euro» ha ricordato Saitta in un’intervista a Quotidiano Sanità «non è pensabile di ricavare tale cifra dal Fondo programmato».
Intanto, però, al ministero delle Finanze si lavora su cifre e tabelle per trovare le risorse con cui coprire gli interventi su pensioni (revisione della riforma Fornero) e reddito di cittadinanza. Secondo quanto scrivono diversi quotidiani, tra le ipotesi allo studio ci sarebbe una stretta su alcune detrazioni fiscali, tra le quali gli interessi sui mutui della prima casa e, soprattutto, le spese sanitarie. In quest’ultimo caso, si penserebbe a una riduzione della detraibilità dal 19 al 17%, un intervento limitato ma solo in apparenza perché assicurerebbe un recupero di risorse non indifferente.
Nel caso passasse, la misura potrebbe raffreddare la spesa farmaceutica privata ma soprattutto genererebbe tra i contribuenti malumori che Governo e maggioranza dovranno tenere a bada, magari controbilanciando con un intervento sui ticket e sul “out of pocket”. Il super ticket, ha detto Saitta, costerebbe 400-500 milioni; invece, un provvedimento sugli equivalenti che riducesse la compartecipazione versata dagli assistiti per coprire la differenza di prezzo tra rimborsato e branded (una spesa in costante aumento, lievitata del 10% soltanto nei primi 4 mesi di quest’anno) sarebbe a costo zero se costringesse i produttori ad abbassare i loro prezzi (pena la riclassificazione in fascia C). E’ una delle misure che da tempo le Regioni caldeggiano, nell’ambito di un pacchetto già trasmesso a tempo debito al ministro Grillo. «Sono tra quegli assessori che ritengono che sulla farmaceutica si possano fare risparmi notevoli, come abbiamo fatto in Piemonte dove abbiamo raggiunto ottimi risultati» ha detto ancora Saitta a Quotidiano Sanità «a oggi, però, non sappiamo ancora cosa vuole fare il Governo».
Anche le aziende del farmaco seguono con attenzione i lavori sulla Manovra 2019. E in un’intervista concessa ieri a Sanità24, il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi fissa i paletti dei produttori. «Non capisco dove si possano trovare risparmi nella farmaceutica» osserva «se si tratta di puntare a un maggior uso dei generici, allora i risparmi non arriveranno. Perché nella territoriale il 90% dei farmaci è ormai a brevetto scaduto. E che siano generici o branded fuori brevetto non cambia, perché lo Stato paga comunque il prezzo più basso». Piuttosto, osserva Scaccabarozzi, il problema è il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera, che risulta sottofinanziato. «Prima dell’arrivo dei farmaci contro l’epatite C spendevamo un miliardo per trattare i pazienti. Ne abbiamo guariti 150mila. Questo è un numero che tutti dimenticano. E’ giusto aiutare i malati, ma è anche giusto aiutare un’industria che queste innovazioni le finanzia». Una soluzione, in realtà, sarebbe già allo studio dei tecnici del ministero della Sanità: l’interdipendenza dei tetti di spesa, che consentirebbe alle Regioni di utilizzare i risparmi conseguiti sulla spesa convenzionata per ridurre il deficit dell’ospedaliera. Le Regioni stesse approverebbero, l’industria anche, non le farmacie. Incentiverebbe ulteriori giri di vite sulla fascia A al solo scopo di traslare risorse sugli acquisti diretti.