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Mascherine ffp2, dall’Alto Adige sospetti sull’effettiva capacità filtrante

2 Marzo 2021

Una buona parte delle mascherine ffp2/kn95 in circolazione non avrebbe la capacità di filtraggio certificata dalla marcatura Ce. In altre parole, non funzionerebbe. L’accusa, secondo quanto riferisce un articolo del Corriere della Sera, arriva da una società altoatesina specializzata in import-export con la Cina. L’azienda ha effettuato una serie di test su una ventina di modelli, con il supporto di un laboratorio specializzato, ed è risultato che la maggior parte delle mascherine ha fallito i test con cloruro di sodio e olio di paraffina, che servono a verificare la capacità filtrante dei dispositivi.

La cosa preoccupante, scrive il quotidiano, è che tutti gli esemplari recano la certificazione Ce, quindi dovrebbero avere superato le verifiche di legge. In particolare, i modelli difettosi recano in gran parte la marcatura Ce2163, il codice della Universalcert, ente certificatore con sede a Istanbul. Si scopre così che la procedura per ottenere il marchio Ce non sarebbe poi così rigida come dovrebbe: chi produce mascherine e le vuole certificare in Europa, così come le aziende che commercializzano test rapidi o altri dispositivi da covid, si devono rivolgere a un laboratorio autorizzato che conferma l’idoneità, quindi inviano la documentazione all’ufficio dell’Unione europea che rilascia i marchi Ce. Ma non viene effettuata alcuna verifica sui controlli effettuati dagli enti certificatori.

In teoria, racconta ancora il Corriere della Sera, in Italia le verifiche spetterebbero all’Istituto superiore di di sanità o al ministero della Salute, oppure ai Politecnici o agli istituti di Fisica delle Università, ma dall’inizio della pandemia è stata disposta una deroga per stato d’ emergenza. Nemmeno l’Inail, che sempre in deroga può autorizzare la commercializzazione di presidi provenienti dalla Cina, non è tenuto a verifiche ma può soltanto rilasciare pareri. «Purtroppo non esiste un percorso di controllo a livello centrale» dice al Corriere Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi clinici italiani «capisco che vaccini e farmaci abbiano un’altra importanza ma oggi è necessario che anche mascherine, test sierologici e antigenici e tutti i reagenti funzionino al meglio. Sarebbe opportuno che il marchio Ce non fosse solo l’acquisizione di un’autocertificazione, ma il risultato di una valutazione reale a monte di quanto dichiarato dalle aziende».

Poi c’è il problema dei laboratori di certificazione: in Italia sono accreditati presso le Regioni o il Ministero e devono fornire una serie di garanzie, ma ogni Paese Ue ha le sue regole che possono differire da quelle degli altri Stati. Le criticità, comunque, riguarderebbero principalmente le ffp2, più complesse da produrre, mentre le chirurgiche mostrano scostamento più contenuti tra le capacità dichiarate e quelle effettive. A tutto questo si aggiunge il problema dei laboratori che certificano. Chi li controlla? e seguire lo stesso standard di qualità