L’antivirale paxlovid di Pfizer ridurrebbe del 46% l’evoluzione di covid-19 in grave o fatale a prescindere dal fatto che il soggetto sia vaccinato o meno. E avrebbe maggiore efficacia nei pazienti più anziani, negli immunodepressi e nei pazienti con malattie neurologiche e cardiovascolari sottostanti. È quanto suggeriscono i risultati di uno studio israeliano pubblicati dalla rivista Clinical Infectious Diseases: il trial ha potuto avvalersi del database del più grande operatore sanitario del Paese mediorientale, che ha consentito di identificare tutti gli adulti maggiorenni che sono risultati positivi al covid per la prima volta tra gennaio e febbraio 2022, avevano il forte rischio di sviluppare forme gravi della malattia e non mostravano controindicazioni al paxlovid.
Complessivamente, sono state censite 180.351 persone, delle quali 4.737 trattate con paxlovid e 135.482 vaccinate contro Sars-CoV-2. La ricerca ha appurato che tanto l’antivirale, somministrato nei primi cinque giorni di infezione, quanto la vaccinazione anti-covid erano correlabili a una diminuzione significativa del tasso di casi gravi o mortali, con un rapporto di rischio tra 0,54 e 0,20.
Il fatto che studi precedenti avessero stimato in circa l’88% la riduzione del rischio di ospedalizzazione e morte correlata all’uso di paxlovid, è stato spiegato dagli autori del trial israeliano con le differenze tra le diverse indagini. «Lo studio Epic-Hr» per esempio «includeva solo pazienti non vaccinati, in questo invece sono stati inclusi vaccinati e non».