I nuovi farmaci hanno prezzi che non trovano giustificazione nei costi di ricerca e sviluppo e «offrono benefici clinici ridotti o inesistenti rispetto ai trattamenti già in uso». Lo afferma un’analisi pubblicata sul British medical journal del 15 febbraio scorso da un team di economisti della London School of Hygiene and Tropical Medicine e della London School of Economics.
Negli Usa, osserva lo studio, il prezzo mediano dei farmaci con ricetta di nuova immissione è passato dai 1.400 dollari del 2008 a più di 150mila nel 2021. L’industria spiega tali prezzi con l’aumento dei costi di ricerca e sviluppo, ma i dati delle 15 principali aziende biofarmaceutiche del globo dicono che nel 2018 l’incidenza della spesa per R&S sulle entrate ammontava al 21%, cioè meno di quella per le attività di vendita, generali e amministrative (27%).
Pochi dei nuovi farmaci sviluppati tra il 1999 e il 2018, continuano gli autori, hanno rappresentato un miglioramento sostanziale rispetto ai farmaci esistenti. Al contrario, tra le molecole lanciate negli anni ’70 e ’80 circa una su sei (il 16%) ha assicurato «importanti vantaggi terapeutici» sulla base dei punteggi assegnati dalla Fda.
L’indagine si conclude dunque con la richiesta al governo Usa di incoraggiare la ricerca e lo sviluppo di farmaci più preziosi, anche attraverso modiche al sistema nazionale dei brevetti in modo da evitare di premiare la semplice novità e la creatività chimica indipendentemente dal valore terapeutico aggiunto. «Dobbiamo promuovere lo sviluppo di farmaci terapeuticamente superiori che possano migliorare i risultati dei pazienti» scrivono gli autori.