Per intensificare i prelievi con tampone al fine di «individuare i casi sospetti e positivi, monitorare i contatti stretti e diagnosticare la remissione dei casi positivi», occorre autorizzare all’esecuzione dei tamponi stessi gli operatori socio-sanitari, «opportunamente individuati e formati» e sottoposti in tale compito «alla supervisione di un professionista sanitario (infermiere o assistente sanitario)». E’ una delle proposte contenute nel pacchetto di misure che le Regioni hanno presentato al Governo per affrontare la crisi da covid che in molte zone del Paese sta mettendo alle corde il servizio sanitario.
Il documento, pubblicato da Quotidiano Sanità, contiene diverse ipotesi d’intervento dirette ad accrescere la disponibilità di personale in ospedali, ambulatori e strutture. Tra queste, la proroga fino a tre anni delle assunzioni a tempo determinato autorizzate dal decreto Cura Italia, un finanziamento da un miliardo di euro per coprire le assunzioni straordinarie anche nel 2021, deroghe ai limiti di orario e ai tetti degli straordinari per i lavoratori «che si rendano disponibili a effettuare orari aggiuntivi», contratti cococo agli studenti del terzo anno delle professioni sanitarie e altro ancora.
Tra le proposte, come detto, anche quella che autorizzerebbe gli operatori socio-sanitari a effettuare tamponi sotto la supervisioni di un infermiere o di un assistente sanitario. Al quale – altra idea delle Regioni – dovrebbe essere poi consentita «la lettura dei test rapidi SARS-CoV2», una competenza oggi riservata al medico.
E’ evidente che l’obiettivo è quello di ridistribuire i carichi di lavoro tra le diverse figure dell’assistenza, stupisce però che nel documento le Regioni pensino ad affidare i tamponi soltanto agli operatori socio-sanitari (le cui competenze istituzionali riguardano l’assistenza alla persona e l’intervento igienico-sanitario e sociale) e non ai farmacisti. E questo nonostante nei giorni scorsi il Trentino (la prima amministrazione ad avere autorizzato i tamponi antigenici in farmacia) avesse detto voler chiedere al Ministero una deroga con cui affidare i prelievi proprio ai farmacisti.
Non solo: in queste settimane si è sentito ripetere da diversi presidenti di Federfarma che i tamponi sono un atto medico, invece ieri in una dichiarazione all’agenzia stampa Dire il presidente dell’Ordine dei medici di Roma, Massimo Magi, ha affermato l’esatto contrario: «Gli antigenici non sono un atto medico» ha spiegato «non possiamo tenere bloccato il personale medico per farli, in questa fase credo sarebbe più utile se i medici seguissero i pazienti a domicilio o nei Covid hotel».
Intanto sulla proposta delle Regioni che riguarda gli operatori sociosanitari piomba subito il no degli infermieri: «Sono sicuramente essenziali nell’assistenza ai pazienti» scrive la Fnopi in una nota «ma per definizione e per legge la loro è una figura di supporto che appartiene non al ruolo sanitario, ma al ruolo tecnico, non laureata, per ora senza albo e senza obbligo di codice deontologico, che coadiuva gli operatori professionali in ambito sanitario e sociale, nello svolgimento delle sue attività si attiene alle indicazioni che da loro ricevono e il suo compito è, anche su indicazione e valutazione dell’infermiere, di svolgere attività che aiutino le persone a soddisfare i bisogni di base (alimentazione, igiene personale, cura di sé, mobilizzazione eccetera)».