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Test diagnostici, CdS ribadisce: escludere le parafarmacie non è discriminante

23 Ottobre 2024

Le disposizioni che riservano alle sole farmacie, e non anche alle parafarmacie, l’erogazione dei «test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e dei tamponi antigenici rapidi per il Sars-CoV-2» non generano disparità di trattamento normativo, perché tra i due canali «permangono una serie di significative differenze tali da rendere la scelta del legislatore non censurabile in termini di ragionevolezza e di violazione del principio di uguaglianza», nonostante esistano elementi comuni a farmacie e parafarmacie, in particolare «la presenza di farmacisti abilitati presso entrambe». È il principio enunciato nella sentenza del Consiglio di Stato (pubblicata il 18 ottobre scorso) che respinge il ricorso presentato da alcune parafarmacie e dalle loro sigle di rappresentanza (Mnlf, Fni, Unaftisp) contro la sentenza del Tar Marche del 2023 riguardante la discussa delibera regionale sui tamponi covid negli esercizi di vicinato.

Come si ricorderà, la vicenda nasce nell’aprile 2021 con la stipula di un accordo tra Regione Marche e associazioni più rappresentative delle parafarmacie (poi recepito nella dgr 465/2021) per l’erogazione di test rapidi e test diagnostici rapidi contro il covid. Pochi giorni dopo Federfarma Marche invia alla Regione una diffida per l’annullamento della delibera, che in effetti la giunta provvede ad abrogare nel giro di un mese con una nuova dgr (663/2021). Nel luglio successivo quest’ultima delibera viene impugnata dalle parafarmacie davanti al Tar Marche, che con ordinanza numero 7/2022 si rimette alla Corte costituzionale riguardo alla legittimità delle norme della Finanziaria 2021 (legge 178/2020) che riservano test e tamponi alle sole farmacie. Nel luglio successivo la Consulta, con sentenza 171/2022, dichiara «non fondate le questioni di legittimità costituzionale» e di conseguenza il Tar Marche, nel giugno 2023, respinge il ricorso delle parafarmacie accogliendo in parte la richiesta di risarcimento dei danni subiti dall’annullamento della prima delibera. Infine, nel gennaio scorso, una parte dei ricorrenti presenta appello davanti al Consiglio di Stato, che come detto respinge il ricorso.

Di quest’ultima sentenza vale la pena isolare alcuni passaggi per evidenziarne i pricnipi, che peraltro ribadiscono concetti già espressi dal Tar nel giudizio di primo grado. Nel suo intervento sulla legittimità costituzionale delle disposizioni enunciate dalla legge 178/2020, per esempio, la Consulta ricorda che la ratio del legislatore è quella di assecondare «l’interesse pubblico a che le prestazioni sanitarie in parola siano eseguite presso le farmacie». A sostegno la Corte costituzionale cita «la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha ripetutamente sostenuto che esigenze di tutela della salute consentono agli Stati membri di disporre restrizioni alla libertà di stabilimento e alla tutela della concorrenza, sempre che assicurino la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre a quanto è necessario per raggiungerlo».

Alle parafarmacie, che lamentano la mancata applicazione alle norme sui tamponi del test di proporzionalità (lo strumento giuridico messo a punto dall’Ue per valutare se le misure adottate dagli Stati membri siano adeguate, necessarie e bilanciate rispetto agli obiettivi), il Consiglio di Stato replica osservando che «l’invocato test di proporzionalità si rivela inconferente rispetto alla fattispecie in esame, dovendosi considerare che le parafarmacie sono esercizi commerciali, mentre le farmacie erogano l’assistenza farmaceutica e svolgono un servizio di pubblico interesse preordinato a garantire la tutela della salute».

La Corte costituzionale, proseguono i giudizi amministrativi di appello, «ha rilevato che il quadro normativo impedisce di affermare che si sia dinanzi alla esistenza di una identità di situazioni giuridiche, rispetto alle quali la disciplina impugnata determini una disparità di trattamento normativo rilevante agli effetti dell’articolo 3 della Costituzione: l’esistenza di elementi comuni a farmacie e parafarmacie non è tale da mettere in dubbio che fra i due esercizi permangano una serie di significative differenze, tali da rendere la scelta del legislatore non censurabile in termini di ragionevolezza e di violazione del principio di uguaglianza. Infatti, la differenziazione di sistema, sotto i profili del regime e della posizione rivestita, rispettivamente nell’ambito del Ssn e sul mercato, da farmacie e cosiddette parafarmacie, consente già di escludere che le disposizioni censurate trattino diversamente situazioni eguali». In altre parole, non c’è alcuna discriminazione perché farmacie e parafarmacie uguali non sono.

Sbagliano poi i ricorrenti, continua la sentenza del Consiglio di Stato, quando sostengono che l’interesse pubblico dovrebbe essere quello di «massimizzare i tamponi per prevenire il contagio»: tale obiettivo, scrivono i giudici, «non può essere disancorato da quello più generale della protezione della salute dei cittadini, il quale può essere garantito soltanto da un sistema di prevenzione e controllo di qualità, a fortiori indispensabile alla profilassi nell’emergenza epidemiologica, quale quello costituito dalla rete delle farmacie integrate nel Ssn che svolgono un servizio di pubblico interesse». La legge, ricorda al riguardo il Consiglio di Stato, «impone alla farmacia specifici oneri, che non gravano su altri soggetti, proprio per garantire affidabili standard di qualità e la capillarità dell’assistenza farmaceutica in ogni contesto geografico». Rientra pertanto «nella discrezionalità del legislatore nazionale individuare per l’erogazione di simili prestazioni sedi e presidi costituenti articolazioni del servizio sanitario pubblico». Le disposizioni che consentono solo alle farmacie l’effettuazione dei test, in altri termini, «costituiscono espressione della complessa e articolata reazione che lo Stato ha posto in essere per fronteggiare la diffusione del covid-19 e tutelare la salute della collettività, essendo le farmacie inserite nell’organizzazione del servizio sanitario nazionale, che già consente loro di condividere con le autorità sanitarie procedure amministrative finalizzate a fronteggiare situazioni ordinarie ed emergenziali, anche mediante il trattamento di dati sensibili in condizioni di sicurezza».

Nella stessa occasione, infine, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della Regione Marche contro la sentenza del Tar che in primo grado l’aveva condannata al risarcimento dei danni subiti dalle parafarmacie a causa della revoca dell’accordo sui tamponi. «La condotta della Regione» motivano i giudici «non può dirsi qualificabile in termini di colpa o di dolo se si considera il controverso tema giuridico della assimilabilità, sotto diversi profili, dell’attività delle  parafarmacie a quella delle farmacie, ben noto alle parafarmacie medesime e alle loro associazioni di categoria».