Negli Usa, 35 Stati americani sui 52 dell’Unione hanno mostrato dati che rivelano una brusca inversione delle morti per overdose: dopo 18 mesi di costante calo, negli ultimi sei sono cresciute vertiginosamente fino ad arrivare ai livelli di un intero anno. I decessi di dodici mesi nella metà del tempo. In Italia i numeri saranno noti nella loro completezza soltanto a fine anno ma i dati già disponibili, che riguardano soltanto alcuni osservatori regionali, mostrano la stessa evoluzione.
A rivelarlo un comunicato diffuso l’altro ieri dallo Ieud, L’Istituto europeo per il trattamento delle dipendenze. L’isolamento sociale da lockdown e la maggiore vulnerabilità allo stress delle persone fragili sul piano relazionale ed esistenziale, spiega la nota, può aver amplificato malesseri o euforie da interruzione dei controlli, favorendo pensieri autodistruttivi.
«Nella dipendenza da droghe» spiega lo Ieud «non avere relazioni sociali e non poter vedere neppure i terapeuti lascia campo libero alla droga, unica compagna sempre presente. Inoltre assunzioni più solitarie, senza qualcuno che possa chiamare l’emergenza, hanno limitato la possibilità di aiuto in caso di overdose. A casa propria, da soli, se si sbaglia sostanza o dose, non si hanno possibilità di un intervento salvavita precoce».
Come altri servizi aperti al pubblico, in effetti, anche i servizi sanitari hanno ridotto la loro accessibilità: i pazienti in cura per la dipendenza hanno visto rallentare le visite, i controlli, gli interventi in genere. Allo stesso tempo, i soldi per la sanità sono stati dedicati alle cure anti-covid, producendo in breve la sospensione di servizi “non urgenti” o “non essenziali” come i progetti di prevenzione e di riduzione del danno, la diluizione del monitoraggio medico e infermieristico, la riduzione di attività psicologiche, educative, riabilitative. La pandemia, in sintesi, ha distolto le politiche sanitarie dalla vigilanza sulle overdosi.
Una maggiore distanza dai pazienti e le difficoltà di spostamento e accesso ai servizi hanno comportato minori controlli sull’adesione alla terapia. Nel caso della terapia sostitutiva con metadone o buprenorfina, è aumentata la pratica dell’affido del farmaco ai pazienti, anche per lunghi periodi (la legge lo permette fino a 30 giorni), riducendo le somministrazioni di persona e i controlli sanitari. Inevitabilmente, la consegna di significativi quantitativi di prodotto a pazienti in cura per la tossicodipendenza crea “occasioni” di misuso e diversione, cioè di uso improprio o ancor peggio di cessione ad altri, ovviamente illegale, delle proprie dosi per soldi.
«La drammatica esperienza americana – conclude Emanuele Bignamini, membro del Comitato scientifico di Ieud «deve insegnarci a riflettere con la giusta preoccupazione sulle possibili conseguenze anche in Italia dell’epidemia di covid-19 sulle overdose da droga. Il caso recente dei due ragazzi di 15 e 16 anni di Terni, morti per probabile overdose da metadone, segnala l’importanza di investire in politiche sanitarie cogliendo anche l’occasione della disponibilità di innovative soluzioni legate al controllo digitale della salute».