Nella loro veste di presidi sanitari di prossimità, le farmacie del territorio possono recitare un ruolo di primo piano nei programmi di prevenzione dell’ictus e di presa in carico delle persone colpite da evento ischemico. E’ una delle evidenze emerse dal convegno “Ictus, che fare dopo?”, organizzato ieri a Milano da Alice, Associazione per la lotta all’ictus cerebrale. Promosso per preparare la Giornata mondiale di prevenzione allo stroke, in programma lunedì prossimo, l’evento ha visto la partecipazione, tra i relatori, di Ennio Beltramelli (foto), presidente di Federfarma Pavia, che ha riferito dell’esperienza maturata dalle farmacie della sua provincia nell’ambito di un progetto avviato un paio di anni fa con l’Istituto neurologico Mondino. «Il programma» spiega Beltramelli a FPress «aveva per obiettivo il rafforzamento della prevenzione secondaria nei pazienti già colpiti da ictus. Hanno partecipato una cinquantina di farmacie specificatamente formate, il cui compito era quello di arruolare pazienti in cura con anticoagulanti o già calpiti da ictus: dopo un’anamnesi, il farmacista inviava l’assistito al Mondino che lo prendeva in carico e assicurava monitoraggio delle condizioni cliniche e aderenza terapeutica. Le farmacie, dal canto loro, rilevavano peso, colesterolo e pressione a ogni visita del malato».
L’esperienza pavese dimostra che la farmacia, grazie alla sua posizione avanzata sul territorio, può rappresentare un punto di appoggio formidabile per tutti i programmi di presa in carico che hanno per destinatari pazienti deospedalizzati o domiciliarizzati. E per programmi di prevenzione primaria e secondaria che vogliono raggiungere una platea più ampia possibile. Lo ha ribadito al convegno di Alice la presidente di Federfarma Lombardia, Annarosa Racca: «Siamo pronti a dare il nostro contributo anche nella lotta all’ictus come già facciamo nella prevenzione di molte altre patologie» ha detto Racca «le farmacie sono visitate ogni giorno da più di tre milioni di persone e il consiglio del farmacista riscuote della piena fiducia di chi è malato. Siamo quindi nella posizione migliore per far arrivare alla popolazione i giusti messaggi e per fare da cerniera tra le strutture pubbliche e il paziente deospedalizzato, cronico o convalescente».