I tamponi rapidi non hanno arricchito le farmacie, che si sono messe a offrire il servizio per senso del dovere nei confronti delle loro comunità e perché fanno parte integrante del sistema sanitario pubblico, non certo perché ci guadagnano. Lo ha ribadito la presidente di Federfarma Lombardia, Annarosa Racca, in alcune dichiarazioni rilasciate ieri al quotidiano La Repubblica nell’ambito di un articolo su costi e utili degli antigenici.
Nel servizio, il giornale stima in circa nove milioni di euro a settimana il giro d’affari generato dagli antigenici nelle farmacie lombarde. Ma, obietta la presidente Racca, questa valutazione non tiene conto dei costi che occorre sostenere per assicurare il servizio: a parte i tre euro e mezzo che la farmacia paga per acquistare il tampone, «va considerata la spesa per i dispositivi di protezione, che vanno dai guanti monouso, ai camici e alle visiere».
E poi va messa in conto la necessità di personale aggiuntivo, perché non va sguarnito il servizio al banco. «Ci vogliono minimo tre-quattro operatori» osserva Racca «dal farmacista o infermiere che fa il prelievo a chi referta e registra l’esito del tampone. Senza dimenticare la spesa per occupazione di suolo pubblico nel caso in cui la farmacia effettui i tamponi in un gazebo montato all’esterno: a Milano ho già chiesto al Comune di diminuirla».
Insomma, conclude Racca, i costi si mangiano buona parte del prezzo calmierato, 15 euro. «Si rischia di non starci dentro e andare in perdita, altro che profitti. La verità è che facciamo un grande sforzo soltanto perché è un servizio strategico per uscire dalla pandemia».