La presidenza nazionale di Federfarma non trasmetta alla controparte pubblica proposte per riformare la remunerazione Ssn delle farmacie private che «non siano state avallate dall’Assemblea della Federazione» e «riguardino soltanto i farmaci della convenzionata», senza dunque risolvere «i problemi derivanti dalla distribuzione diretta e per conto». E’ il perentorio alt che Federfarma Lombardia intima ai vertici del sindacato nazionale sulla scorta della mozione approvata ieri all’unanimità dall’assemblea dell’Unione regionale (assenti i rappresentanti delle associazioni provinciali di Bergamo e Lecco).
La durissima presa di posizione dell’assemblea regionale – un vero e proprio aut aut, perché nel caso in cui i vertici nazionali ignorassero la richiesta Federfarma Lombardia si vedrebbe costretta a valutare «iniziative, anche radicali, a tutela delle farmacie associate» – fa seguito alle anticipazioni fornite dal presidente nazionale della Federazione, Marco Cossolo, nell’ultima seduta del Consiglio delle Regioni: messi sul tavolo alcuni numeri della proposta cui stanno lavorando Federfarma e Assofarm, Cossolo ha rivelato che la proposta stessa verrà inviata a Ministeri, Aifa e Regioni il 30 settembre, cioè una settimana prima dell’assemblea nazionale del sindacato (in programma l’8 ottobre). Assemblea che a questo punto, in caso di via libera dalla controparte pubblica, potrà soltanto recepire e ratificare il nuovo schema.
La tabella di marcia prospettata dalla presidenza nazionale ha subito messo sul chi vive Federfarma Lombardia, che dall’inizio dell’estate sta ragionando sui numeri della nuova remunerazione con i vertici nazionali e un’altra decina di rappresentanze territoriali del sindacato. Il confronto è ben lontano dall’aver trovato un punto di convergenza, i valori ventilati dalla presidenza nazionale comporterebbero un sacrificio pesante per le farmacie lombarde ed ecco quindi la diffida dall’inviare il 30 settembre una proposta che non trova il sostegno di tutte le associazioni.
Ma la mozione approvata dall’assemblea non si preoccupa soltanto della sostenibilità delle farmacie lombarde. In questo momento politico molto delicato, è il ragionamento, «portare avanti proposte di riforma della remunerazione senza la partecipazione delle altre categorie (Farmindustria si è già chiamata fuori da mesi, i distributori di Adf hanno fatto altrettanto nei giorni scorsi, ndr)» significa mettere a rischio la marginalità delle farmacie.
Non va dimenticato, infatti, che il nuovo Governo ha appena iniziato a ragionare sulla prossima Nota di aggiornamento del Def (il Documento di economia e finanza che programma la spesa pubblica degli anni a venire), che nella prossima Manovra andranno trovati 23 miliardi per scongiurare l’aumento dell’iva e infine che al giro di boa del primo semestre la spesa farmaceutica ospedaliera sfonda per più di un miliardo di euro mentre la convenzionata mostra un altro avanzo (217 milioni). Chiedere a Mef e Regioni di modificare la remunerazione significa offrirgli su un piatto d’argento l’occasione per togliere un po’ di soldi alle farmacie del territorio e metterlo dove hanno più bisogno.
«Abbiamo iniziato il confronto con la presidenza nazionale da una proposta che imperniava la maggior parte della remunerazione su una quota fissa a pezzo» commenta Zocchi a FPress «un’idea che non ci convinceva perché mantenere gli utili agganciati principalmente al prezzo al pubblico protegge da scaduti, rotture di stock eccetera. Avevamo anche avvertito che una quota fissa elevata non sarebbe mai stata accettata dall’Aifa e così poi è stato, come ha ammesso il presidente Cossolo in un incontro ai primi di settembre. Insomma, chi sta studiando la proposta della Federazione continua a riscrivere le cifre e a spostare pesi, ci sono ancora parecchi ragionamenti da fare o da verificare, meglio prendersi più tempo e rifletterci ancora un po’. La Lombardia non dice no a priori a passare a un sistema misto, ma vuole l’assouta certezza che le sue farmacie non ci perderanno».