Un paio di settimane soltanto e sulla delibera della Regione Emilia Romagna (datata 5 marzo) che recepisce l’intesa con Federfarma e Assofarm per il rinnovo della dpc piombano due ricorsi al Tar, presentati da Menarini e da una sua sussidiata, Laboratori Guidotti. All’origine, l’inclusione di dieci farmaci commercializzati dalle due aziende nella cosiddetta dispensazione “a pacchetto” che il nuovo accordo affida alle farmacie del territorio, consistente nella fornitura periodica – a specifiche categorie di cronici – di farmaci del Pht e non, con le modalità e le tariffe della dpc. Le due imprese, in sostanza, contestano tale disposizione perché estende la dpc ai loro farmaci (in buona parte destinati al trattamento di asma e bpco), «di fatto non inclusi nel Pht dell’Aifa».
Le norme, ricordano al riguardo i due ricorsi, demandano all’Aifa «il compito di individuare l’elenco dei farmaci astrattamente suscettibili di essere inclusi in tale regime di distribuzione (diretta-dpc, ndr)». Solo nell’ambito di tale elenco, è la tesi delle ricorrenti, le Regioni possono stabilire in concreto quali farmaci assoggettare a dpc, senza che sia consentito «estenderla a farmaci diversi da quelli individuati dall’Agenzia».
Per le stesse ragioni, i due ricorsi impugnano anche i provvedimenti in virtù dei quali già da un anno l’Asl Romagna dispensa i loro farmaci nel canale della diretta-dpc: si tratta della delibera regionale 327/2017 (che recepiva l’intesa di quell’anno con le farmacie per la dpc) e della nota dell’Azienda sanitaria riomagnola datata 9 luglio 2018, che trasmette ai medici di famiglia l’elenco dei medicinali assoggettati a regime di dpc anche se non inseriti nel Pht.
In più, le due aziende impugnano anche un’altra nota dell’Asl Romagna, datata 16 luglio 2018, che impone agli assistiti il pagamento del prezzo intero (anziché della sola differenza rispetto alla quota di rimborso) quando la loro scelta ricade su un farmaco equivalente diverso da quello disponibile in dpc. Non solo: al paziente che per ragioni cliniche ha bisogno di un equivalente diverso da quello passato dall’Asl non basta la ricetta del medico con la dicitura “non sostituibile”, occorre che lo stesso curante invii al Servizio farmaceutico dell’Asl una «relazione a sostegno della necessità di assumere un medicinale non disponibile in dpc, allegando idonea documentazione a supporto». In caso contrario, l’assistito paga un’altra volta il prezzo intero. «Tale procedura» è la conclusione delle ricorrenti «sottrae illegittimamente al medico la responsabilità della prescrizione dei farmaci e si pone in contrasto con le regole che attengono al rimborso dei farmaci generici e di “marca”».