Urgono iniziative concrete che manifestino il profondo disagio economico in cui versano le farmacie romagnole, perché politica e opinione pubblica prendano coscienza della crisi che le attanaglia e si rendano conto che occorrono interventi tempestivi. E’ il grido di allarme lanciato da Federfarma Forlì-Cesena, che nei giorni scorsi ha avviato un sondaggio tra gli iscritti per valutare quale forma di protesta intraprendere.
Due le opzioni prioritarie proposte nel comunicato che sta girando tra le farmacie (e sui social, dove ha già valicato i confini provinciali e regionali): cassa integrazione in tutte le farmacie associate o riduzione collettiva dell’orario di servizio. Oppure, altre iniziative che la base vorrà suggerire.
«Tutto nasce dagli ultimi dati sui fatturati delle nostre farmacie» spiega a FPress Alberto Lattuneddu, presidente di Federfarma Forlì-Cesena (foto) «che a maggio hanno denunciato cali tra il 20 e il 22% in tutte le componenti del nostro mercato: farmaco rimborsato, farmaco di fascia C e commerciale». La contrazione risulta talmente estesa che persino l’Asl Romagna ha mostrato preoccupazione: «Ci hanno telefonato qualche giorno fa per chiederci che cosa dicevano i nostri dati» conferma Lattuneddu «perché a quanto pare sta soffrendo anche la loro distribuzione diretta, per quanto non ai nostri livelli. E io parlo per la mia provincia, ma mi risulta che nel resto dell’Emilia Romagna le cose non stiano andando diversamente».
A quanto pare, a giugno il trend è in miglioramento, ma i numeri tengono sempre il segno meno. «Si parla di decrementi tra il 9 e il 14%, meglio del mese scorso ma contrazioni rimangono». Di qui, dunque, la decisione di agire. «Partiamo dalla constatazione che finora la farmacia non ha voluto mai dare segnali di difficoltà sociale e ha sempre riassorbito tutte le sofferenze economiche. Le ragioni sono note – la farmacia è quasi sempre un’impresa familiare – ma non si può più ignorare che nelle Regioni, come l’Emilia-Romagna, dove la diretta è più estesa, la ricetta Ssn non riesce più a coprire i nostri costi».
Dunque, è tempo di manifestare il disagio in modo aperto. «Dobbiamo dare un segnale effettivo di sofferenza» prosegue Lattuneddu «altrimenti continuiamo a trascinarci dietro l’immagine di una professione ricca e privilegiata». La cassa integrazione per i collaboratori di tutte le farmacie della provincia farebbe al caso. «Lanciamo un grido d’allarme e allo stesso tempo difendiamo i posti di lavoro» osserva Lattuneddu «evitiamo lo sciopero, che ormai è un’arma fine a se stessa, e tocchiamo un tasto che ha sempre trovato sensibili politici e amministratori locali». Già un’ottantina le farmacie che hanno risposto al sondaggio sulle cento circa della provincia.