«L’infermiere di comunità sarà un importante pilastro per lo sviluppo della sanità territoriale, sia per l’assistenza alle persone sia per la promozione della salute. Per istituire e certificare questa figura, in linea con il dm 77, abbiamo avviato un percorso che porterà, entro il 2025, a rendere attivi sul territorio 400 infermieri di famiglia o comunità». Lo ha annunciato ieri in un incontro il vicepresidente con delega alla Salute del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi (foto): questa figura, ha detto, avrà un ruolo determinante nei processi di assistenza e cura dei cittadini-utenti e nell’attivazione di quella che si può chiamare la “sanità di iniziativa”.
La presa in carico della persona, ha spiegato, avverrà per livelli di complessità: la popolazione, cioè, sarà “stratificata” per livello di rischio, in modo da fornire risposte il più possibile appropriate, corrette ed esaustive alle persone. «L’infermiere di famiglia o comunità opererà in integrazione con tutti i professionisti presenti a livello territoriale tra cui medici di medicina generale, assistenti sociali, fisioterapisti, educatori eccetera In alcune aree della regione, negli anni scorsi, sono stati già sviluppati modelli di infermieristica di comunità: nella Bassa Friulana, per esempio, e nell’area Isontina. Con il modello che sarà avviato ora in Friuli Venezia Giulia si andrà a uniformare la figura di questo professionista della salute sull’intero territorio. Lo standard riferimento è di un infermiere di famiglia ogni 3.000 abitanti».
L’infermiere assicurerà la connessione tra i diversi setting territoriali: per esempio negli ambulatori, in accordo con le amministrazioni locali, vicino al medico di medicina generale e all’assistente sociale, perché la prossimità fisica aiuta a realizzare la presa in carico e l’integrazione tra tutti i professionisti e tutti i servizi. «Non sarà solo un infermiere che eroga prestazioni» ha avvertito ancora Riccardi «ma si renderà “attivatore” di vicinato, parrocchia e altre realtà di volontariato della comunità locale, perché alla cronicità non può bastare soltanto una risposta tecnica: occorre invece una presa in carico globale per offrire alle famiglie che hanno al loro interno pazienti portatori di patologie croniche una risposta a 360 gradi, anche con l’assistenza di tipo tutelare e relazionale».
Gli infermieri di comunità si adopereranno per promuovere interventi di promozione e di educazione alla salute proprio per attivare e sviluppare stili di vita sani. A questi obiettivi si arriverà in modo graduale con la formazione specifica e informando tutti gli stakeholders della progettualità. Il percorso formativo regionale per lo sviluppo dell’infermieristica di famiglia o comunità, ha concluso Riccardi, è strutturato in circa 90 ore di formazione residenziale e 200 ore di tirocinio al fine di far acquisire ai professionisti le conoscenze utili ad agire le competenze specifiche necessarie.