L’indicazione contenuta negli accordi annuali sulla dpc sottoscritti in Emilia Romagna dal 2009, che impone alle Asl della regione di limitare i volumi della distribuzione diretta dei farmaci extra-Pht ai valori del 2008 e di ridurli progressivamente laddove risultassero eccedenti, rappresenta un «generico impegno» che non fa comunque venir meno l’obiettivo della sostenibilità economica dell’assistenza. E’ quanto scrive il Tar dell’Emilia Romagna nella sentenza – depositata il 30 agosto scorso – che respinge il ricorso presentato nel 2013 da Federfarma Forlì-Cesena contro Regione e Asl per inadempienza formale degli accordi sottoscritti. Secondo l’associazione dei titolari, in sostanza, l’azienda sanitaria forlivese (oggi confluita nell’Asl della Romagna) non avrebbe «provveduto al contenimento dei pezzi e dei volumi dei farmaci extra-Pht distribuiti in forma diretta», nonostante gli impegni sottoscritti per suo conto dalla Regione in tre differenti delibere, in vigore dal 31 luglio 2009, dal 26 luglio 2010 e dal 14 luglio 2011.
Come si ricorderà, l’obiettivo di tali impegni – pattuiti con i sindacati delle farmacie pubbliche e private nell’ambito degli accordi sulla dpc, poi recepiti con delibere di giunta – era quello di riequilibrare i volumi dei canali distributivi per ridare ossigeno alle farmacie del territorio. Nel settembre 2011 Federfarma Forlì ha notificato all’Asl cittadina una lettera di messa in mora per mancato adempimento degli impegni, quindi nel 2013 il ricorso al Tar con richiesta di «danni consistenti per la perdita economica derivante dal mancato incasso di ricette sottratte alla normale spedizione presso le farmacie».
Per i giudici amministrativi, come detto, il ricorso del sindacato titolari va respinto. Innanzitutto, ricorda il Tar, la distribuzione diretta dei farmaci extra-Pht (così come sancita dalla delibera regionale 539/2002) obbedisce alla stessa ratio della diretta dei farmaci del Pht, cioè «assicurare l’assistenza farmacologica ai pazienti che richiedono un controllo ricorrente come se fossero in regime ospedaliero». Di conseguenza, la distribuzione dell’extra-Pht «non sottrae (alle farmacie, ndr) una parte del mercato dei farmaci» ma obbedisce a «scelte organizzative», riguardanti non soltanto il sistema di distribuzione dei farmaci «ma, ancora più a monte, le modalità di assistenza e monitoraggio di alcune categorie di pazienti cronici». Scelte, ribadiscono i giudici, «che rientrano nella piena disponibilità dell’azienda sanitaria».
Quanto agli impegni sottoscritti dalla Regione sulla ridistribuzione dei volumi, la linea del Tar è che gli accordi (e le delibere che ne discendono) parlano soltanto di «significativi scostamenti» da recuperare, senza però fornire quantificazioni precise. E in caso di mancato rispetto, «formalizzano un generico impegno ad adottare modalità che saranno definite in accordo con le indicazioni della Commissione regionale del farmaco». Non viene quindi contemplata l’eventualità di risarcimenti a favore delle farmacie, mentre la formula “significativi scostamenti” autorizza a un’ampia discrezionalità: all’epoca, ricorda il Tar, «l’ex azienda forlivese aveva in carico un elevato numero di pazienti “complessi” e soffriva di una delicata situazione bilancio, come evidenziato in udienza dall’Amministrazione senza che parte ricorrente replicasse»; la rigida applicazione delle indicazioni pattuite, dunque, «avrebbe potuto significare per l’azienda un incremento della spesa farmaceutica», laddove invece l’obiettivo della distribuzione diretta è quello di tutelare la salute dei pazienti nell’ambito delle risorse pubbliche disponibili».
«E’ difficile avere giustizia in Emilia Romagna» è il commento del presidente di Federfarma Forlì, Alberto Lattuneddu «lo sapevamo ma abbiamo voluto comunque presentare ricorso per difendere un principio. Decideremo nei prossimi giorni se appellarci al Consiglio di Stato, resta il fatto che qui si può andare d’accordo con la Regione soltanto se accetti una collaborazione che può essere vantaggiosa soltanto per la parte pubblica».