Si fanno sempre più burrascosi i rapporti tra i farmacisti titolari e il commissario per l’emergenza covid, Domenico Arcuri, dopo il sequestro di 315mila mascherine disposto ieri dall’Agenzia delle dogane di Civitanova (in provincia di Macerata). I dispositivi erano stati acquistati in Cina da una società di Fermo (sempre nelle Marche) per rifornire tra gli altri una trentina di farmacie, ma – secondo quanto riferisce la stampa locale – non appena giunta in Italia la partita è stata requisita dalle Dogane su disposizione proprio della struttura commissariale guidata da Arcuri.
Il sequestro non sarebbe da imputare a irregolarità della merce o della documentazione di accompagnamento ma discenderebbe dalle misure contenute nel decreto “Cura Italia”, che consentono la requisizione d’emergenza e l’affidamento alla Protezione civile di materiale sanitario importato.
All’azienda fermana l’acquisto era costato 35mila euro e, sempre secondo la stampa locale, una metà circa delle farmacie aveva già versato un acconto pari al 75% dell’ordine, per un prezzo a mascherina di 55 centesimi (l’operazione era stata formalizzata un mese fa, ben prima quindi dell’ordinanza Arcuri sul prezzo massimo a 0,50 euro). Il materiale sottoposto a sequestro verrà ovviamente risarcito, ma entità del rimborso e tempi di pagamento non sono noti. E al danno – per l’azienda e le farmacie clienti – rischia di aggiungersi la beffa: non è da escludere, infatti, che la merce requisita venga utilizzata per coprire in parte le carenze che da qualche giorno si registrano nelle farmacie e negli altri canali distributivi, dove ancora non sono arrivate le mascherine di “Stato” promesse dal commissario Arcuri.