Nella provincia di Reggio Emilia c’è un «elevato numero di pazienti» che è costretto da sempre a disagi periodici per andare a ritirare in ospedale farmaci la cui distribuzione «potrebbero essere tranquillamente affidata alle farmacie di paese», risparmiando così a queste persone viaggi anche di decine di chilometri. Lo scrive il presidente di Federfarma provinciale, Giuseppe Delfini, in una lettera alla stampa locale che prende spunto da una fresca polemica sulla condizione dell’assistenza farmaceutica nelle zone di montagna.
In Emilia Romagna, ricorda Delfini, c’è un accordo regionale che consente di «rendere le farmacie delle zone disagiate l’unico punto di distribuzione dei farmaci, in modo da permettere ai pazienti di ritirare tutti i medicinali di cui necessitano» comodamente e vicino a casa. «Stiamo parlando» specifica la lettera «dei farmaci contemplati in un apposito elenco (protettori per lo stomaco e antiepilettici, per esempio) che potrebbero essere ritirati in farmacia senza pagare alcun ticket. E non dimentichiamo i presidi medici per i diabetici (aghi pungidito, strisce reagenti) che attualmente i pazienti possono ritirare in regime rimborsato solo in ospedale».
Gli accordi regionali (su dpc e integrativa) ci sono, ma – continua Delfini – «gli amministratori pubblici non li considerano», per quanto la loro applicazione garantirebbe «minori disagi per i pazienti e meno sprechi», oltre ad accrescere «l’adesione e l’aderenza alla terapia».
Ma le farmacie, ricorda ancora la lettera, possono essere di riferimento per le comunità interne anche in tema di prestazioni diagnostiche: «in base a leggi nazionali e regionali, le farmacie possono effettuare in telemedicina elettrocardiogrammi e holter cardiaci e pressori, refertati da medici autorizzati e strutture certificate. Potrebbero anche farlo in convenzione col sistema sanitario regionale, se solo si applicasse una legge (quella sulla sperimentazione della farmacia dei servizi, ndr) che ha già stanziato fondi nazionali ad hoc. Si abbatterebbero le liste di attesa, i pazienti potrebbero effettuarli in paese, si valorizzerebbero le farmacie come parte integrante, anche per i servizi, del sistema sanitario nazionale e si eviterebbe che tali fondi tornino nelle casse dello Stato perché inutilizzati (come accadrà in caso di non impiego e rendicontazione entro fine anno)».
Le farmacie – conclude Delfini, che già nei mesi scorsi era intervenuto sulla stampa locale per difendere la distribuzione in farmacia – ci sono, le leggi e i fondi pure. «È così rivoluzionaria la normalità che prevede la valorizzazione delle potenzialità esistenti? A qualcuno interessa tale sfida?».