Il vertiginoso aumento dei ricoveri per intossicazione da paracetamolo registrati in un decennio negli ospedali australiani spinge a interventi legislativi che riducano il dosaggio delle confezioni dispensabili senza ricetta e impartiscano un giro di vite all’accessibilità. Sono le conclusioni formulate dallo studio pubblicato l’altro ieri dal Medical Journal of Australia e condotto da un team di ricercatori provenienti dalle università di Sidney e Newcastle, dal Royal Prince Alfred Hospital di Sydney e dal Centro ricerche sui Big Data in Sanità dell’università del Nuovo Galles del Sud. Il gruppo, di lavoro, in sintesi, ha analizzato i dati relativi a un decennio di ricoveri e diagnosi ospedaliere, dalla stagione 2007-2008 a quella 2016-2017. I risultati rivelano che nel periodo considerato i casi di avvelenamento da paracetamolo registrati annualmente sono cresciuti del 44% (tasso medio di crescita annuale 3,8%), i casi di intossicazione epatica del 108% (incremento medio annuale 7,7%).
Non solo: tra il 2004 e il 2017, gli episodi di sovradosaggio intenzionale di paracetamolo accertati annualmente dalle autorità sanitario sfiorano i 23mila, per un tasso di crescita del 77%. Tutti gli incrementi, avvertono gli autori, risultano nettamente superiori al tasso medio annuale con cui la popolazione australiana è cresciuta nello stesso periodo, l’1,6%.
In Australia, ricorda ancora la ricerca, il paracetamolo è venduto liberamente (quindi anche negli esercizi commerciali) nelle confezioni con 20 compresse da 500 mg; farmaci con dosaggi superiori possono essere venduti soltanto in farmacia, anche senza l’assistenza di un farmacista. «Dosaggi inferiori nelle confezioni in commercio» scrivono gli autori nelle conclusioni «e restrizioni alla loro accessibilità potrebbero ridurre le conseguenze derivanti da overdose di paracetamolo. Tali misure dovrebbero essere prese in considerazione, insieme ad altri interventi politici, per arginare questo crescente problema».