Nei pazienti in trattamento oncologico, la cannabis terapeutica potrebbe non avere effetti soltanto positivi. E’ una delle ipotesi di ricerca sulle quali si è dibattuto al Congresso mondiale dell’American society of clinical oncology (Asco), concluso ieri a Chicago. Ne hanno parlato soprattutto ricercatori canadesi e americani, che hanno fatto il punto sulle conoscenze scientifiche e sulle esperienze maturate grazie al numero crescente di pazienti trattati in tutto il mondo con cannabis. Per il medico canadese Claude Cyr, ricercatore alla McGill University, le indicazioni che arrivano dalla ricerca sono attualmente «confuse» e c’è di che rammaricarsi: «Non si sa molto sugli effetti collaterali» è la valutazione di Cyr, e alcuni recenti lavori suggeriscono che la cannabis terapeutica «in alcuni casi potrebbe aumentare la massa tumorale».
Come riporta un articolo del Quotidien du pharmacien, si tratta di studi che ancora devono essere confermati, ma in ogni caso dovrebbero invitare alla cautela, anche perché le conoscenze sulle interazioni della cannabis con i trattamenti antitumorali sono in progressiva espansione. E’ da 10 anni che il Canada ha autorizzato l’uso della sostanza a fini terapeutici, ma attualmente sono pochi gli oncologi canadesi che la prescrivono per mancanza di un prodotto davvero standardizzato. «Nei paesi in cui è già autorizzata» spiega Audrey Lebel, oncologo all’ospedale Henri-Mondor di Créteil (a poca distanza da Parigi) «la cannabis medica è prescritta in modo un po’ intuitivo, senza una chiara conoscenza delle dosi e della varietà da usare in base alle singole necessità». «La cannabis» conclude Cyr «è probabilmente una delle poche sostanze in grado di ridurre una moltitudine di sintomi come dolore, insonnia, ansia, depressione, nausea e anoressia. Ma più si diffonde l’uso, più capiamo che non è così innocua».