I Paesi dell’Unione europea possono introdurre restrizioni all’export parallelo di farmaci quando la necessità è quella di tutelare la salute dei loro cittadini, ma tali interventi devono essere giustificati e proporzionati. Lo aveva detto la Commissione Ue una settimana fa, nella nota con cui comunicava l’interruzione della procedura di infrazione avviata a carico di Polonia, Romania e Slovacchia per le misure introdotte dai tre Paesi contro il parallel trade farmaceutico. E lo ripete anche oggi, in una comunicazione però di stampo diametralmente opposto. Nella quale la Commissione intima a Portogallo e di nuovo Slovacchia di rimuovere le restrizioni, «ingiustificate e sproporzionate», introdotte dai due Stati in materia di export farmaceutico. Entro due mesi, trascorsi i quali scatterà il deferimento alla Corte di giustizia europea.
Sembra una doccia fredda per chi aveva applaudito alla svolta imboccata da Bruxelles una settimana fa, quando la Commissione aveva finalmente riconosciuto che «il commercio parallelo di medicinali può essere uno dei motivi per cui si verificano carenze» e che è diritto degli Stati imporre limiti all’export quando l’obiettivo è quello di «tutelare un legittimo interesse pubblico». In realtà i due interventi mantengono la loro coerenza – le misure, ribadiscono le due note, devono essere commisurate al rischio – e dunque non resta che capire dove Portogallo e Slovacchia hanno varcato la soglia di tolleranza oltre la quale, per Bruxelles, le restrizioni diventano sproporzionate.
Le norme lusitane finite nel mirino della Commissione, come si deduce dalla nota Ue, sono quelle che impongono ai distributori intermedi di comunicare anticipatamente alle autorità l’intenzione di esportare farmaci soggetti a rischi di carenza e, successivamente, fornire un resoconto della compravendita. Per quanto concerne la Slovacchia, invece, le norme su cui Bruxelles ha puntato il dito in questa seconda occasione sono quelle che obbligano i grossisti a notificare tutte le esportazioni di farmaci in programma e attendere 30 giorni per il silenzio-assenso delle autorità. «La Commissione» si legge nella nota di Bruxelles «ritiene che queste misure non forniscono agli operatori indicazioni chiare e trasparenti sui farmaci che possono essere soggetti a carenze per parallel trade. Inoltre, le procedure impongono ai distributori obblighi sproporzionati».
Di export farmaceutico, intanto, si è parlato anche al Consiglio informale dei ministri Ue della Salute organizzato il 22-23 maggio a Sofia (la Bulgaria ha la presidenza Ue in questo semestre). «I partecipanti» recita una nota del dicastero della Salute «hanno sottolineato l’esigenza di tutelare la fiducia dei pazienti e dei regolatori nella politica farmaceutica. I Ministri hanno anche dibattuto questioni collegate all’efficacia e accessibilità dei medicinali, incluso i problemi dei pazienti causati da esportazioni parallele di prodotti farmaceutici. In questo ambito, si rivela di notevole importanza la cooperazione tra gli Stati dell’Ue».