A un anno dal primo caso di infezione da covid registrato ufficialmente in Cina, l’11 dicembre 2019, sono sette in tutto i farmacisti del territorio deceduti nel Regno Unito per la pandemia. A contarli – con l’avvertenza che la casistica effettiva potrebbe anche essere superiore, dato che il bilancio si ferma ai decessi ufficiali – è un articolo del Pharmaceutical Journal, la rivista della Royal pharmaceutical society (l’ordine dei farmacisti inglesi) che approfitta della ricorrenza per ricordare i colleghi scomparsi.
Sei su sette, scrive il particolare la rivista, appartenevano a minoranze etniche, due erano titolari, tre collaboratori o “locum” (interinali) e due erano “pharmacy technicians”. Tutti, inoltre, sono deceduti nelle settimane iniziali della prima ondata, cioè tra la fine di marzo e quella di aprile, quando le misure di distanziamento erano state adottate da pochi giorni e l’uso delle mascherine in farmacie e negozi ancora non era obbligatorio.
Come se non bastasse, ricorda ancora il Pharmaceutical Journal, la disponibilità di dpi per il personale delle farmacie del territorio era altalenante, e le raccomandazioni ufficiali sull’impiego venivano riviste in continuazione. Per tale motivo, racconta la rivista, i familiari di Navin Shantilal Talati, titolare di una farmacia a Dagenham, nell’Essex, deceduto per covid il 18 aprile, hanno avviato un’azione legale contro il segretario alla Salute, Matt Hancock, e l’Agenzia inglese per la Salute pubblica (Phe) per non aver informato adeguatamente gli operatori sulla situazione epidemica esistente a febbraio. Al 10 dicembre, i morti per covid nel Regno Unito si aggirano sui 63mila, in Italia sono poco di meno: 62mila.