La farmacia autorizzata alla distribuzione all’ingrosso di farmaci è tenuta a disporre di due distinti codici per l’esercizio dell’attività di farmacista e di grossista, e il titolare non può «ridistribuire come grossista i medicinali acquistati come farmacista, dovendo operare con un codice identificativo distinto». E’ il principio ribadito dalla sentenza con cui il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia (Cgars, l’equivalente del Consiglio di stato) ha accolto il ricorso dell’Asl di Messina riguardo alla diffida contestata nel 2016 a un farmacista-grossista.
Le conclusioni cui giungono i giudici siciliani meritano una lettura non soltanto perché tornano su un tema particolarmente rilevante – quello relativo alla cosiddetta attività ex articolo 100 – ma anche perché rovesciano l’orientamento maturato in primo grado dal Tar e riconfermano l’indirizzo giurisprudenziale tracciato tra gli altri dalla sentenza del Consiglio di Stato 5486/2018.
La vicenda cui fa riferimento il Cgars risale al gennaio di cinque anni fa, quando l’Asl messinese – in seguito a un verbale dei Nas di Catania – diffida una farmacia della provincia «dal vendere medicinali acquisiti con il codice identificativo della farmacia ad altri distributori all’ingrosso o ad altre farmacie». Nella nota, in particolare, l’Azienda sanitaria cita il parere del ministero della Salute del 2 ottobre 2015, che su richiesta dell’Asl di Mantova forniva la propria lettura della normativa sulla distribuzione all’ingrosso dei medicinali.
Il titolare della farmacia diffidata impugna la nota dell’Asl e il parere ministeriale davanti al Tar siciliano, che dichiara il ricorso inammissibile nella parte riguardante l’intervento del dicastero ma lo accoglie in relazione alla diffida. L’attività inibita, scrivono i giudici amministrativi di primo grado, non è vietata dall’ordinamento e «l’esigenza di natura pubblicistica non risulta in concreto compromessa dall’esercizio dell’attività poste in essere dal ricorrente, dal momento che non può ritenersi automaticamente comprovato che la fornitura di un prodotto medicinale da una farmacia ad un grossista, o addirittura ad altra farmacia, incida negativamente sulla sua distribuzione capillare a favore del pubblico».
L’Azienda messinese, a sua volta, impugna la sentenza del Tar davanti al Cgars e – come detto – i giudici di appello le danno ragione. Confermata la circostanza che il farmacista diffidato dispone di un codice univoco soltanto, relativo all’attività della farmacia, il Consiglio conferma che la necessità di due codici è prevista per legge ed è «assolutamente funzionale ad alimentare la Banca dati centrale» del ministero della Salute.
Non solo: «È di solare evidenza» osservano i giudici «che secondo il combinato del comma 5, articolo 105 del d.lgs 219/2006 e dell’articolo 3 del dm 15 luglio 2004, l’attività di farmacista e di grossista, anche se svolte da un medesimo soggetto, magari con un’unica partita iva, debbano restare separate tra loro per la diversa finalità che, nella filiera del farmaco, sono chiamate a svolgere». Di conseguenza, «ogni operazione effettuata dal distributore all’ingrosso» deve essere «tracciata» con il codice del distributore medesimo e i medicinali acquistati «debbono essere stoccati esclusivamente nei magazzini oggetto dell’autorizzazione all’ingrosso, con la precisazione che tali medicinali non possono essere venduti al pubblico».
Sulla base del delineato regime giuridico, continua il Cgars, è quindi possibile affermare che «il titolare della farmacia che dispone, a seguito dell’abrogazione del regime di incompatibilità, anche di una autorizzazione alla distribuzione all’ingrosso di farmaci non può, per ciò stesso, ridistribuire come grossista i medicinali acquistati come farmacista, dovendo operare con un codice identificativo distinto da quello della farmacia».
A conferma, i giudici di appello ricordano la sentenza 5486/2018 del Consiglio di Stato, secondo la quale «la necessità di codici differenti per lo svolgimento delle diverse attività di vendita al dettaglio e vendita all’ingrosso risulta preordinato al fine di assicurare la tracciabilità dei farmaci, tesa a garantire l’autenticità dei medicinali in commercio in Italia e a rafforzare il contrasto alle frodi». Ma citano anche l’Accordo dell’8 settembre 2016 tra associazioni del settore farmaceutico (compresa Federfarma) e autorità pubbliche, con il quale i firmatari convengono che «nei magazzini della farmacia non possono essere stoccati medicinali acquistati in qualità di distributore all’ingrosso».
La diffida dell’Asl messinese, conclude il Cgars, è quindi legittima, anche laddove avverte che «i medicinali acquistati con il codice identificativo della farmacia devono essere conservati nei locali autorizzati della farmacia stessa, e destinati esclusivamente alla vendita al pubblico al fine di garantire l’assistenza farmaceutica sul territorio». Il titolare della farmacia in possesso anche di una autorizzazione alla distribuzione, in altri termini, «può esercitarle entrambe a condizione che la persona fisica o giuridica, per l’esercizio delle distinte attività utilizzi locali distinti, come indicati nell’autorizzazione, e codice univoci differenti, successivamente attribuiti dal ministero della Salute».