E se un giorno i comuni cessassero di aprire farmacie pubbliche ed esercitassero il diritto di prelazione soltanto per avere sedi che poi verrebbero date in affitto a privati, come già oggi accade saltuariamente? È un’ipotesi che ha qualche possibilità di concretizzarsi se non verrà corretto lo schema di decreto legislativo approvato a settembre dal governo (Draghi) per riordinare la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. All’articolo 34, dal titolo “Disposizioni di coordinamento in materia di farmacie comunali”, il testo dispone che «in caso di affidamento della gestione (delle comunali, ndr) a società in house ovvero a capitale misto, trovano in ogni caso applicazione le previsioni di cui all’articolo 3, commi da 30 a 32, della legge 244/2007». Tradotto dal burocratese, a ogni nuova apertura di una farmacia pubblica i comuni dovrebbero avviare una complicata trafila di incombenze che di fatto scoraggerebbero anche le amministrazioni più grandi. Risultato, i municipi smetterebbero di aprire nuove comunali e si servirebbero delle prelazioni per procurarsi sedi da dare poi in concessione a farmacisti privati.
A lanciare l’allarme sui rischi prossimi venturi della norma, ancora in cantiere, è Assofarm, che ha approfittato del Convegno nazionale delle farmacie pubbliche, organizzato venerdì scorso a Monza, per richiamare l’attenzione sullo schema di decreto «Il testo deve passare dalla Conferenza delle Regioni, quindi andare alle commissioni parlamentari e quindi tornare al Governo per il via libera finale» spiega Venanzio Gizzi, presidente di Assofarm «quindi c’è ancora tempo per intervenire. L’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, ha già chiesto lo stralcio dell’articolo, dove la disposizione è stata infilata alla chetichella da una “manina” misteriosa. Ci auguriamo davvero che non passi, perché altrimenti gli effetti sarebbero deleteri, forse anche per le farmacie private».
A parte l’allarme sull’articolo 34, Assofarm ha approfittato dell’evento monzese anche per fare il punto su prospettive e progetti della farmacia di domani. «Vogliamo lavorare per mettere a sistema le innovazioni avviate durante il periodo dell’emergenza» rimarca Gizzi «e al riguardo non si può non ricordare il lavoro encomiabile svolto da Andrea Mandelli e Maurizio Gemmato, grazie ai quali oggi la vaccinazione è l’atto professionale più qualificante e rappresenta la cifra dell’innovazione in tema di farmacia dei servizi».
Al riguardo, la questione che Assofarm desidera portare all’attenzione delle Regioni nell’ambito del rinnovo della Convenzione è quella dell’obbligatorietà della somministrazione vaccinale: «Abbiamo la necessità di rendere tale pratica stabile» osserva Gizzi «legata non alla volontà del singolo farmacista ma a quella della farmacia. È per tale motivo che di recente abbiamo scritto alle Regioni per sollecitare l’emanazione di un nuovo atto d’indirizzo».
Dovrà confluire nel nuovo contratto anche la riforma della remunerazione, che per Gizzi fa da corollario «a una moderna farmacia dei servizi a sua volta parte attiva di quella sanità territoriale riformata tanto nelle sue strutture logistiche quanto nelle interazioni tra i diversi professionisti».
Il traguardo è alla portata, conclude Gizzi, perché la farmacia gode oggi di una nuova considerazione da parte della politica, figlia in massima parte di quanto fatto nella pandemia. «Un’attenzione» rimarca il presidente di Assofarm «di cui s’è avuta prova anche nel nostro Convegno, al quale ha partecipato il sottosegrteario alla Salute, Marcello Gemmato, e un’ampia rappresentanza di politici, oltre ovviamente alla filiera tutta». Tra i rappresentanti delle istituzioni Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, i deputati Pd Matteo Mauri (Pd) e Andrea Tremaglia (FdI), la senatrice Maria Cristina Cantù (Lega), il vicepresidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala.