C’è lo sviluppo della farmacia dei servizi nelle cosiddette aree interne, ossia paesi e territorio più lontani dai grandi centri urbani, tra i progetti della bozza di Recovery plan che il Governo ha presentato ieri alle Camere. Si tratta, come noto, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), il programma di interventi strutturali che il governo italiano dovrà inviare a Bruxelles per accedere al mega-finanziamento da 240 miliardi (20 dei quali per la sanità) riservato all’Italia da Next Generation Eu, il piano Marshall dell’Unione europea per il dopo-pandemia.
Tra i capitoli in cui il Recovery plan ripartisce progetti e interventi ce n’è uno dedicato alla sanità, dove però non si parla di farmacia anche se l’assistenza territoriale gode di ampio spazio. Di farmacia, invece, si fa cenno esplicito nel capitolo dedicato a inclusione e coesione, che dedica un intero paragrafo ai piccoli presidi: il piano, in particolare, è di consolidare le farmacie rurali convenzionate dei centri con meno di tremila abitanti per mettere in grado di «erogare servizi sanitari territoriali», con cui coprire i bisogni della popolazione residente.
Le farmacie, in sostanza, beneficeranno di «risorse finanziarie pubbliche» per sostenerne «l’adeguamento al fine di rafforzare il loro ruolo di erogatori di servizi sanitari». In particolare, parteciperanno «al servizio integrato di assistenza domiciliare», forniranno «prestazioni di secondo livello, attraverso percorsi diagnostico-terapeutici per patologie specifiche», distribuiranno «farmaci che il paziente è ora costretto a ritirare in ospedale» e monitoreranno «i pazienti con la cartella clinica elettronica (cioè il Fse, ndr) e il fascicolo farmaceutico (dossier farmaceutico, ndr)».
Per le risorse si attingerà al finanziamento da 60 milioni di euro che il Recovery plan riserva agli interventi per le aree interne (quindi non tutti andranno alle farmacie), ma il Governo prevede anche un «co-investimento» da parte dei privati (cioè i titolari di farmacia) pari al 50% del finanziamento pubblico.
Come si diceva, nel capitolo del Recovery plan dedicato alla Salute non si parla esplicitamente di farmacie. Ma i richiami indiretti sono numerosi. Per esempio, occorreranno ragionamenti sul paragrafo relativo alla casa come «primo luogo di cura» e si definisce l’assistenza domiciliare lo strumento con cui «migliorare le prestazioni offerte, in particolare alle persone vulnerabili e disabili, anche attraverso il ricorso a nuove tecnologie».
Ci sarà da capire quale coabitazione trovare con le 1.280 Case della comunità che il Piano vuole aprire nel giro di un quinquennio e fornire di «team multidisciplinari di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità e altri professionisti della salute». E ci sarà da riflettere sul contributo che le farmacie del territorio possono offrire al nuovo sistema di cure domiciliari, che si farà carico di cronici e fragili in politerapia (iperconsumatori di farmaci non solo ospedalieri ma anche di fascia A) e verrà governato in ogni distretto da «Centrali operative territoriali (Cot) con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza».
Infine, merita un cenno il capitolo del Recovery plan dedicato alla concorrenza: sul tema il Governo si impegna non soltanto a promulgare una legge sulla tutela dei mercati a cadenza annuale, ma promette anche semplificazioni legislative e burocratiche, una nuova disciplina «di maggiore competitività per l’affidamento dei servizi pubblici locali» e, più in generale, la «promozione della concorrenza».