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Dalla Lombardia atto d’accusa contro Federfarma che risponde a giro di posta

30 Aprile 2020

Da quando l’emergenza da coronavirus è entrata nella sua fase più intensa, Federfarma nazionale ha inanellato una serie di svarioni e incongruenze che dimostrano una volta di più l’assenza di rapporti solidi con il Governo e le altre istituzioni centrali. E’ l’atto d’accusa in cui culmina la lettera inviata l’altro ieri dall’esecutivo di Federfarma Lombardia al consiglio di presidenza della Federazione e ai presidenti delle altre rappresentanze territoriali del sindacato. Il testo è una circostanziata rassegna degli errori collezionati dai vertici nazionali di Federfarma, che anziché assistere le farmacie nell’impegnativo sforzo di assistere la popolazione, ha finito per bersagliarle con fuoco amico.

Emblematico, per i lombardi, il modo in cui è stata gestita la questione dello sconfezionamento in farmacia delle mascherine protettive: prima la Federazione ha fornito un’interpretazione estensiva della normativa vigente; poi, dopo le sanzioni inflitte dalle autorità vigilanti ad alcune farmacie, si è accorta dell’errore e ha invocato un provvedimento legislativo che mettesse ordine in materia. Risultato: ora, per sconfezionare, le farmacie devono rispettare procedure laboriose e complesse, quando erano state le istituzioni per prime a chiedere alle farmacie di ripartire in sacchetti monopezzo senza particolari procedure.

Come se non bastasse, prosegue l’esecutivo del sindacato lombardo, la Federazione non ha approfittato dell’intervento sullo sconfezionamento per chiedere anche l’autorizzazione a commercializzare mascherine con indicazioni in lingue diverse dall’italiano. E così, pure in questo caso i titolari sono stati bersagliati da multe e sanzioni che hanno reso ancora più incerto il lavoro delle farmacie.

Il suo «capolavoro», si legge nella lettera, Federfarma l’ha però raggiunto con la richiesta al governo di fissare un prezzo unico nazionale sulle mascherine protettive. L’invito è stato accolto con un’ordinanza che individua un prezzo di cessione massimo completamente fuori mercato e la promessa alle farmacie di una compensazione in merce «inattuabile a livello pratico» e gravata da «innumerevoli problematiche fiscali».

Questi episodi, così come le inadeguatezze del servizio di recapito domiciliare del farmaco organizzato da Federfarma (che ha costretto diverse organizzazioni territoriali a stringere accordi a livello locale per sopperire alle inefficienze) o le ripetute invettive lanciate dai vertici nazionali contro le farmacie sorprese a speculare (che hanno avuto dalla stampa eco così ampio da accreditare presso l’opinione pubblica l’immagine del farmacista profittatore), dimostrano che in questioni come quella delle mascherine la Federazione si è resa responsabile di una malagestione che genera il malcontento di tutte le farmacie lombarde. E che – è l’ultimo affondo di Federfarma Lombardia – spinge giustamente moltissimi colleghi a chiedersi se i vertici del sindacato abbiano mai lavorato in farmacia.

Dopo poche ore la risposta dei vertici della Federazione, che rimprovera all’esecutivo di Federfarma Lombardia «lacune conoscitive» e «travisamenti della realtà». Tutte le indicazioni fornite agli associati, scrive in particolare il sindacato nazionale, «si sono sempre fondate su oggettive motivazioni, analiticamente illustrate alle amministrazioni competenti, e tutte perfettamente aderenti alla ratio della tutela della salute dell’individuo». Riguardo allo sconfezionamento delle mascherine, per esempio, Federfarma nazionale ha svolto argomentazioni «immediatamente sposate dalle autorità di controllo», che hanno annullato in 24 ore i verbali elevati ai danni delle farmacie. Quanto alle procedure da attuare in farmacia, «è appena il caso di evidenziare che esse sono consentite solo ed esclusivamente alle farmacie proprio in ragione del dettato dell’ordinanza, sicché lo sconfezionamento operato da edicole, parafarmacie e altri esercizi commerciali è da considerarsi non lecito e come tale segnalabile».

Sulla questione delle indicazioni in lingua italiana per le mascherine importate, prosegue Federfarma, «sono state diramate plurime circolari richiamando l’attenzione delle farmacie circa la necessità di acquisire le dovute autocertificazioni, accompagnate dall’asseverazione dell’Iss o dell’Inail». Riguardo invece al prezzo unico, «Federfarma ha sempre richiesto alla parte pubblica la fissazione di un indicatore massimo di acquisto (non di cessione) per le mascherine, accompagnato dal riconoscimento di un congruo margine a favore delle farmacie per le attività di vendita al pubblico, derivandone così il prezzo finale all’utente». L’ordinanza emanata dal commissario Arcuri che fissa a 0,50 euro il prezzo al pubblico, quindi, «ha indotto Federfarma a intraprendere ogni utile iniziativa a tutela delle farmacie». E’ stata così ottenuta la «piena garanzia circa l’integrale ristoro, a favore delle farmacie, degli oneri affrontati per approvvigionarsi di mascherine chirurgiche», mentre è ora in corso di definitiva stesura «un accordo per calibrare opportunamente gli aspetti fiscali e operativi, che non risulteranno certo “inattuabili” come asserito dalla Lombardia».