E’ un sentito grazie quello che i titolari di farmacia devono all’Asfi, l’Associazione scientifica farmacisti italiani presieduta dal docente bolognese Maurizio Cini. E’ suo, infatti, il comunicato che ieri ha richiamato l’attenzione dei farmacisti sul Decalogo per la gestione delle intolleranze alimentari approntato e divulgato da una decina di società del mondo medico-scientifico, decalogo che al punto tre accomuna le farmacie a «centri estetici, palestre, laboratori e altre strutture non specificatamente sanitarie». Lo scopo del paragrafo è quello di spingere il pubblico a diffidare di test non validati e diagnosi formulate da operatori diversi dai medici, ma l’accenno alle farmacie – come osserva l’Asfi – è incomprensibile e ingeneroso. Oltre che dannoso per l’immagine della professione: l’associazione ha il merito di essere stata la prima ad accorgersene, ma era da quasi una settimana che il documento girava per tv e giornali, i cui siti web continuano a proporlo.
Ancora più incomprensibile, poi, come abbia fatto questo decalogo a ottenere la validazione della Fnomceo (La Federazione degli ordini dei medici) e del ministero della Salute, che da tempo sostiene e incoraggia il modello della farmacia dei servizi. Né si comprende per quale ragione l’Ordine lo abbia pubblicato venerdì scorso (16 febbraio) sul proprio sito “anti-fake” www.dottoremaeveroche.it, da dove è stato velocemente cancellato ieri dopo l’intervento della Fofi (a sua volta allertata dalla segnalazione dell’Asfi). Alla Federazione degli ordini dei farmacisti si deve anche la retromarcia innestata sempre ieri dal Ministero, che si è già messo al lavoro per emendare il decalogo, come riferisce Federfarma in un comunicato. «A parte lo spiacevole errore contenuto nel testo, che auspichiamo sia prontamente eliminato» commenta il presidente nazionale, Marco Cossolo «comprendiamo il significato del decalogo come valido strumento per sfatare pregiudizi e false credenze, spesso veicolate on line, sulle diete e sulle intolleranze alimentari».
Forse però è un po’ troppo presto per porgere il ramoscello d’ulivo. Il dietro front di Fnomceo e società mediche, infatti, ricorda le rettifiche che i giornali nascondono a fondo pagina quando la notizia era uscita in prima. Una veloce ricerca sul web, infatti, rivela che il decalogo sulle intolleranze alimentari ha ricevuto ampia risonanza sulla stampa nazionale già parecchi giorni prima che l’Asfi sollevasse il caso. Il Corriere della Sera, per esempio, riporta il testo in un articolo del 14 febbraio che ripropone le dieci regole in una versione rimaneggiata ma sempre negativa per i farmacisti titolari: «Non fare i test» è il consiglio «in centri estetici, palestre, farmacie, laboratori di analisi o altre strutture non specificatamente sanitarie». Stesso discorso per Il Salvagente, la nota rivista di orientamento ai consumi (anche qui l’articolo è del 14 febbraio), che ripropone ai suoi lettori il decalogo nella versione originale, e per Tagadà, il programma tv di La7, che venerdì ha mostrato in un cartello il famigerato punto tre. E a questo punto si può tranquillamente parlare di danno d’immagine.