Ucp e Case di comunità, assieme all’informatizzazione, possono essere lo strumento con cui ottimizzare l’accesso dei pazienti ai farmaci della distribuzione diretta e ridurre le troppe tappe che oggi sono necessarie per arrivare a tali medicinali. Lo ha detto il responsabile scientifico della Fimmg, Walter Marrocco, nella prima giornata di audizioni organizzata dalla commissione Affari sociali della Camera nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla distribuzione diretta. «La nostra opinione» ha spiegato in videocollegamento Marrocco «è che si debba procedere a un’ottimizzazione dei percorsi della diretta con il duplice obiettivo di garantire al paziente la massima sorveglianza clinica e al Ssn la sostenibilità economica». Le Case di comunità e, in attesa che il modello si concretizzi, le Unità di cure primarie (Ucp), «potrebbero rappresentare, nell’ambito di una automatizzazione delle procedure, un’opportunità per ridurre gli spostamenti dell’assistito e in più garantire la sorveglianza clinica, che lo specialista può assicurare solo saltuariamente e il medico di famiglia invece può garantire in modo continuativo, con monitoraggio dell’aderenza e della continuità terapeutica».
In particolare, ha detto Marrocco rispondendo alle domande della Commissione, «si potrebbe immaginare un sistema di home delivery del farmaco per i pazienti in assistenza domiciliare gestito in modo integrato dalle Centrali operative territoriali (che nel Pnrr dovrebbero assicurare la continuità assistenziale, ndr), con il farmacista ospedaliero che collabora con il team multidisciplinare, ossia specialista e medico di famiglia».
Tra i rappresentanti auditi dalla Commissione anche il presidente di Federfarma, Marco Cossolo, che ha ricordato le origini della distribuzione diretta: «La legge 405/2001 istituiva il doppio canale per garantire il monitoraggio ospedaliero dei farmaci ad alta intensità di cura» ha spiegato «e per sfruttare lo sconto di legge di cui beneficia la sanità pubblica, almeno del 50%. Nel tempo, però, le motivazioni economiche hanno prevalso e in alcune regioni la distribuzione diretta è cresciuta a dismisura». Con la pandemia, però, si è osservata un’inversione di tendenza, legata alla necessità di ridurre l’accesso alle strutture sanitarie: «Nel 2020» ha detto Cossolo «la diretta è diminuita del 13% a volumi sul 2019 e nel 2021 del 10% rispetto all’anno prima; la dpc è cresciuta del 18% nel 2020 sul 2019 e dell’8% nel 2021». Per Federfarma, quindi, il punto di equilibrio cui tendere è quello di un sistema in cui resta prerogativa dell’ospedale la distribuzione di specialità complesse, mentre i farmaci di uso consolidato e quelli che ormai sono in commercio da vent’anni possono essere spostati in dpc. «Sarà di supporto la riforma della remunerazione delle farmacie» ha concluso Cossolo «che porteremo a termine nel 2023».
«La legge 405 ha ormai vent’anni» ha ricordato dal canto suo il presidente di Assofarm, Venanzio Gizzi «non è pensabile che tutte le trasformazioni intervenute nel frattempo non ne impongano la revisione. Le distorsioni intervenute in questi anni devono essere corrette, soprattutto in considerazione dei costi occulti che la diretta scarica sui pazienti». Ha chiuso il giro delle audizioni Roberto Tobia, presidente del Pgeu, che ha rammentato l’eccezionalità della diretta italiana rispetto alle esperienze degli altri Paesi Ue.