Rispetto alla diretta, la distribuzione per conto permette «una dispensazione più conveniente» dei farmaci del Pht, perché assicura «un servizio di migliore qualità per il cittadino» e garantisce «una maggiore accessibilità, grazie alla capillarità delle farmacie sul territorio». E’ quanto si legge nelle conclusioni dello studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista ClinicoEconomics da un team di accademici e analisti di farmacoeconomia: Mauro De Rosa (docente di Economia e regolazione del farmaco all’università del Piemonte orientale), Chiara Garbarini (Pharmadoc), Giorgio Lorenzo Colombo (docente di farmacoeconomia all’università di Pavia), Giacomo Bruno, Chiara Martinotti e Sergio Di Matteo (Save-Studi analisi valutazioni economiche).
Allo studio vanno soprattutto due meriti: innanzitutto è il primo lavoro che inquadra e compara gli accordi sulla distribuzione per conto firmati negli ultimi sette anni a livello regionale, con l’obiettivo di «definire l’impatto della distribuzione diretta sulla spesa sanitaria»; in secondo luogo, le riflessioni che propone offrono diverse frecce alla causa delle farmacie, per quanto l’indagine non sposi incondizionatamente gli argomenti che i farmacisti titolari sono soliti usare quando discutono di diretta.
Partiamo dalla comparazione: tra gli accordi firmati nel 2012 e quelli stipulati nel 2019, osservano i ricercatori, si intravede un percorso evolutivo omogeneo. In particolare, dal 2017 spariscono del tutto le intese che optano per compensi calcolati percentualmente sul prezzo della confezione (margine): oggi la scelta prevalente è quella della retribuzione mista, quota fissa più variabile per fasce (sono il 53% del totale), mentre la retribuzione soltanto per fasce è preferita dal 33% degli accordi e quella sulla sola quota fissa da appena tre Regioni (Toscana, Calabria e Trento).
Accordi dpc, le scelte regionali sulla struttura dei compensi
Un’altra tendenza comune riguarda l’evoluzione dei valori retributivi: tra 2017 e 2019 la media tra i compensi minimi fissati dai singoli accordi regionali rimane sostanzialmente inalterata (da 5,36 a 5,35 euro). Cala visibilmente, invece, quella dei compensi massimi, da 12,62 a 7,88 euro, anche se in entrambi i casi la variabilità delle cifre da Regione a Regione è consistente (vedi tabella sotto).
Accordi dpc, fasce di remunerazione minime e massime
Le scelte regionali risultano eterogenee anche riguardo al cosiddetto “cut off”, ossia la soglia di prezzo sotto la quale il farmaco passa automaticamente dal Pht alla convenzionata: in media tale valore si assesta a 26 euro, ma la casistica oscilla dai 50 euro della Lombardia ai 13 della Toscana.
Accordi dpc, la soglia di cut off per il passaggio in convenzionata
Dalla comparazione, spiegano i ricercatori, emerge un’eterogeneità di formule e modelli che rende «complessa» ogni valutazione economica delle tre opzioni distributive rappresentate da convenzionata, diretta e dpc. A tal riguardo, osserva lo studio, sarebbe ragionevole che analisi e raffronti assumessero il punto di osservazione delle aziende sanitarie locali, privilegiando quindi raffronti basati sui costi sostenuti (remunerazione delle farmacie nel caso della dpc; personale, magazzino, trasporto eccetera per la diretta).
Tuttavia, avverte lo studio, ci sono anche altre variabili da considerare, per esempio «l’impatto sui consumi farmaceutici dei miglioramenti osservati in termini di appropriatezza d’uso e in termini di efficienza della logistica». Al riguardo, gli autori richiamano la delibera della Regione Lombardia che cita una sperimentazione condotta nel 2012 nelle Asl di Mantova, Melegnano e Pavia, dalla quale è risultato che «la dispensazione in farmacia ha determinato un minor consumo di farmaci per miglioramento dell’appropriatezza d’uso pari al 9,46%, cui si aggiunge un minor costo del 20,71% in parte derivante da una migliore logistica di approvvigionamento». Stesse valutazioni, prosegue lo studio, da una delibera della Regione Puglia che dà merito alla dpc di avere «ridotto drasticamente la quota di farmaci invendibili (compresi gli scaduti) presenti nei magazzini, tale da rappresentare, rispetto al numero di pezzi distribuiti, rispettivamente lo 0,66% nel 2014 , lo 0,17 nel 2015 e lo 0,06% nel 2016».
In aggiunta, continuano i ricercatori, non va dimenticato «che un elemento fondante e giustificativo di un Servizio sanitario nazionale è quello dell’equità nell’accesso ai servizi, al fine di ridurre, se non eliminare, le cause ostative al perseguimento di un corretto consumo di prestazioni e beni sanitari». In questa cornice, «appare razionale considerare nella valutazione economica anche i costi indiretti a carico dei cittadini, rappresentati principalmente dai costi sostenuti per il raggiungimento del punto distributivo più vicino».
La questione dell’accessibilità, rimarca lo studio, «è un punto differenziante tra dd e dpc», perché la maggiore «capillarità e fruibilità» delle farmacie del territorio rispetto ai punti di dispensazione delle Asl «incide sui costi indiretti» e agevola «la porzione di popolazione più fragile». Inoltre, assicura «appropriatezza e monitoraggio grazie al ruolo di presidio sul territorio utile nella gestione e supporto dei pazienti con patologie croniche» e riduce gli sprechi correlati alla dispensazione «di grandi quantità di medicinali» da parte dei centri distributivi pubblici
Da considerazioni di questo tenore, si sarebbe tentati di dedurre che la ricerca invita a preferire la distribuzione per conto alla diretta, ma l’analisi in realtà è più complessa. Gli autori, infatti, mostrano una netta preferenza per le valutazioni del Rapporto 2017 dell’Oasi (Osservatorio delle aziende sanitarie italiane), dove si sostiene che «un modello misto dd-dpc risulta meno costoso rispetto a un modello solo dd o solo dpc» e il risparmio più consistente si ricava con «un mix sbilanciato 70-76% diretta e 30-26% distribuzione per conto, a seconda dei costi di gestione associati».
Incidenza dd-dpc sul totale della spesa per il doppio canale
Le farmacie, però, ottengono dallo studio di ClinicoEconomics alcune rilevanti aperture. In particolare, gli autori ammettono esplicitamente che «la distribuzione per conto consente rispetto alla diretta una qualità maggiore di servizio per il cittadino, garantendo una maggiore accessibilità grazie alla capillarità sul territorio». Quindi, «resta attuale e necessaria una valutazione dei risvolti economici, sanitari e sociali connessi alle diverse modalità distributive per confrontarle in modo equilibrato e ricavare i costi effettivi», sulla quale però pesa l’eterogeneità delle scelte regionali.