Il “payback” con cui le aziende farmaceutiche devono ripianare ogni anno lo sfondamento sulla spesa per acquisti diretti (dd e dpc) è ormai diventato «uno sconto ex post al Ssn, oggi pari al 7%, che rappresenta un’ulteriore significativa fonte di entrata per le Regioni, le quali dunque non vogliono e non possono rinunciare a tale meccanismo». È quanto scrive il Centro per la ricerca economica applicata ai sistemi sanitari dell’università Tor Vergata nel suo XIX Rapporto Crea Sanità, lo studio con cui l’osservatorio dell’ateneo romano fotografa a cadenza annuale numeri e trend della spesa sanitaria pubblica e privata. È un passaggio che non può non attirare l’attenzione delle farmacie, che da marzo passeranno alla nuova remunerazione secondo le disposizioni della Legge di Bilancio.
Come noto, Federfarma ripete da tempo che i benefici della riforma vanno misurati non tanto con un raffronto diretto tra ricavi assicurati da vecchia e nuova remunerazione, quanto piuttosto dagli effetti che il nuovo modello avrà sulla distribuzione diretta delle Regioni, che verranno progressivamente incentivate a spostare volumi verso la dpc e la convenzionata. Anche la Manovra ci mette del suo in tal senso, perché affida all’Aifa il compito di aggiornare il Prontuario entro il 30 marzo (e a seguire a cadenza annuale) individuando l’elenco vincolante dei medicinali del Pht che per le loro caratteristiche possono transitare dalla distribuzione diretta alla dpc o alla distribuzione in regime convenzionato.
La riflessione che arriva dal Rapporto del Crea invece sembra ridimensionare parecchio le chance che la disposizione della Manovra possa concretizzarsi. È vero che si tratta di un’indicazione di legge, ma è vero che in tema di organizzazione del servizio sanitario (e di quello farmaceutico) le Regioni sono sovrane e dunque quella della Legge di Bilancio non può avere altro tono che quello della raccomandazione. Dunque, come già altri esperti hanno osservato di recente (per esempio Patrizio Armeni, Francesco Costa e Monica Otto, della Sda Bocconi School of management, in un articolo pubblicato un paio di mesi fa su Sanità 24) le Regioni potrebbero trovare “sconveniente” seguire le indicazioni della Legge di Bilancio, dato che non soltanto la distribuzione diretta ma persino il suo sfondamento sono utilizzati da alcune di loro per le proprie alchimie finanziarie.
D’altronde, ricorda ancora il Crea nel suo Rapporto, «malgrado ogni anno si aumenti il tetto della spesa farmaceutica e si spostino risorse dalla convenzionata agli acquisti diretti, lo sforamento non si abbassa: era di 1,8 miliardi di euro nel 2015, vale 1,9 miliardi nel 2022». Non rappresenta una soluzione riassorbire nella convenzionata questo sfondamento: se questa tiene anno dopo anno, ricorda il Rapporto, «è solo grazie agli acquisti privati dei cittadini per i farmaci classe A», che ormai valgono l’8,1% della spesa farmaceutica pubblica. Se questi consumi passassero sotto l’ombrello della rimborsabilità, tutte le Regioni sforerebbero anche nella convenzionata.